Quando mi chiedono “Cosa ti manca di più di Roma?” la risposta immediata è la famiglia, gli amici, le persone care che conosco da tutta la vita, ma poi un pensiero si fa strada nella mente e si forma un’altra risposta, altrettanto valida: i supplì. È una cosa a cui non mi rassegno, andare in pizzeria o ordinare la pizza a casa il sabato sera e non poter chiedere niente da mangiare prima, soprattutto un’adorabile pallina di riso al sugo, con un cuore di mozzarella filante che ti ustiona la lingua, avvolto da una panatura croccante e possibilmente unta.
Da qualche anno ormai la cucina romana risplende delle rinnovate attenzioni che tutto il mondo le sta tributando. Da una parte vorrei chiamarlo “effetto Katie Parla”. Giornalista, autrice best seller del New York Times, con un master in “Cultura Gastronomica Italiana” conseguito a Tor Vergata, pubblicata su tutti i più importanti magazine e siti gastronomici mondiali, autrice o co-autrice di più di 30 libri di cucina che, trasferitasi a Roma, ha iniziato ad educare gli stranieri, americani in particolare, alle gioie della gastronomia capitolina, organizzando addirittura walking tours per portarli nei templi in cui essa è più presente e viva. Parla compare in praticamente tutti i documentari americani legati al cibo (Chef’s Table Pizza e Stanley Tucci’s Searching for Italy tra i più recenti) e compila regolarmente classifiche dei migliori ristoranti in cui mangiare a Roma. È probabile che molti locali dovrebbero ringraziare proprio lei per essere arrivati oggi ad un livello di notorietà che sarebbe stato impensabile raggiungere dieci o quindici anni fa.
Ma un’altra parte di questa Roma-mania credo vada imputata all’umile, dolcissimo Maritozzo, ignorato per anni al di fuori delle storiche pasticcerie che non hanno mai smesso di proporlo, è diventato oggi un’ossessione globale, tanto da essere stato addirittura inserito come vocabolo nel dizionario giapponese.
Riflettendo su tutto questo clamore ho iniziato a pensare a libri che ben rappresentassero la mia tradizione culinaria, quella che ha formato il mio palato, e che mostrassero anche quanto sia ampia la scelta, e quanto siano incredibilmente semplici e incredibilmente buoni questi piatti. E allora preparatevi ad una bella abbuffata, perché è il momento di 3 libri di cucina “pe’ fasse ‘na bella magnata”.
1. Elisia Menduni, Roscioli. Il pane, la cucina e Roma, Giunti, 2016
Sono un’appassionata di “fatti” (come direbbe qualcuno che conosco) e questo libro è pieno di fatti, di intrecci, di coincidenze. È una storia avvincente che unisce a stretto filo chi la racconta con la famiglia che viene raccontata e questa famiglia con la città di Roma, e con il mondo.
«La miglior amatriciana di Roma? La miglior carbonara? La miglior gricia? Difficile dirlo con certezza, ma poi ha senso chiederlo? Troppe volte ci fermiamo a questa sterile domanda. La risposta è comunque nei fatti. Tutti i miei amici chef, da ogni angolo del mondo, quando passano da Roma non possono fare a meno di tornare lì»
Questo scrive Massimo Bottura, che firma la presentazione del libro. Un libro, quindi, davvero speciale, perché racconta la storia di un’istituzione romana, Roscioli, un tempio di bontà, conosciuto ovunque, che è sinonimo di grande tradizione, ma anche di lungimiranza, sperimentazione e rinnovamento.
C’è tanto da leggere e scoprire tra queste pagine, c’è da spalancare gli occhi per le splendide foto di Maurizio Camagna, e ci sono le ricette, ovviamente, da quelle dei prodotti più tradizionali del forno, alle più recenti dei nuovi locali, indici della qualità e della ricerca della famiglia Roscioli in campo enogastronomico.
È impossibile, anzi probabilmente è vietato, in una passeggiata romana, venendo dal Ghetto o da Largo Argentina, imboccare Via dei Giubbonari senza fermarsi in quella vietta sulla destra, in cui si intravede la scritta arancione “Forno”.
L’Antico Forno Roscioli ha festeggiato proprio quest’anno 50 anni di attività e la storia di questo luogo, di questa famiglia, si intreccia con quella di molte altre persone. Primo tra tutti Stefano Bonilli, fondatore del Gambero Rosso, a cui il libro è dedicato, vicino di casa e assiduo frequentatore del forno, diventato poi amico e testimone delle grandi rivoluzioni ed espansioni generatesi a partire da quel primo locale in Via dei Chiavari.
Bonilli aveva da tempo in progetto di scrivere questa storia, ma la sua idea subisce, purtroppo, un brusco arresto alla sua prematura scomparsa, nel 2014. Verrà portato a termine nel 2016 da Elisia Menduni, giornalista e food writer, che da oltre 15 anni comunica il mondo del cibo con ogni mezzo possibile e il cui lavoro si intreccia, a sua volta, con un’altra figura importantissima dell’universo della panificazione romana (ve lo racconto nel Fuori Menù).
«Roma nacque guardando il cielo, e questo non è un caso»
La storia che Elisia Menduni intesse con sapienza, e che si può leggere come una saga familiare, anche ignorando completamente le ricette (ma voi ve la sentireste davvero di ignorare la ricetta dei supplì?) parte da Roma, dal suo cielo, introvabile in altro posto del mondo, dalla nascita di quel reticolo di viuzze incastrate tra Ghetto e Campo de’ Fiori, piene di vita e di mestieri popolari. Le foto ci riportano colori che solo a Roma si possono vedere e accompagnano il lettore attraverso il viaggio della famiglia Roscioli, iniziato nel 1959 in un paesino dei Monti Sibillini.
Sono mostrati i luoghi di questo quartiere storico, tra i più belli della città, che si alternano a quelle degli impasti, della farina, delle mani che lavorano, dei prodotti finiti e ai ritratti dei protagonisti di questa storia: Franco, Marco e Rita e i loro figli, Alessandro e Pierluigi, motori dell’espansione del marchio e della nascita della Salumeria con cucina, una realtà ormai più che consolidata della ristorazione romana, che propone solo prodotti di eccellenza, grande ricerca sul vino e classici romani in un contesto assolutamente inedito già al momento della sua apertura nel 2002.
Ma i ritratti in bianco e nero non mostrano solo i membri della famiglia, perché è chiaro che questo successo planetario può venire solo da una rete di persone, affini tra loro, capaci di dare la giusta spinta alle idee dei fratelli Roscioli. Scopriamo quindi le storie più piccole, ma non meno importanti, di Maurizio, esperto sommelier, di Giusy, direttrice di sala, e di un cuoco tunisino, Nabil Hassen, che non mangia maiale, non ama i latticini, ma ha una tale comprensione degli ingredienti che riesce a creare la “Carbonara più buona del mondo”, un piatto vincitore di premi, di cui parlerà anche l’Herald Tribune.
Le ricette seguono la storia e l’evoluzione dell’offerta di Roscioli. Prima quelle del forno (pane, pizzette, torte salate e dolci secchi) poi quelle della Salumeria (tutti i meravigliosi primi romani, con la citata Carbonara, i secondi di pesce e di carne), le novità del banco gastronomia (supplì, mozzarella in carrozza) per finire con le raffinate dolcezze del nuovo Roscioli Caffè (maritozzi, Monte Bianco e Charlotte).
«Il format di una salumeria con annessa cucina è progettato seguendo un’idea di piacere enogastronomico estremo, totale e di ricerca. Solo piacere e nient'altro»
È un libro ricchissimo, da leggere, da studiare, che unisce tutti i prodotti di maggiore successo di Roscioli, da piatti immancabili sulla tavola di ogni famiglia romana al “club sandwich”, in questo continuo scambio di vecchio e nuovo, di italiano e globale. Dopo tutto era stato proprio Franco Roscioli, nel 1953, durante un viaggio in USA, a scoprire il pane da toast, a intravederne le potenzialità e decidere di realizzarne una versione da vendere nel forno di Roma. Quello stesso pane, soffice, senza crosta, che è oggi la base dell’apprezzatissimo club sandwich.
2. Bianca Minerdo (a cura di), Ricette di Roma e Lazio, Slow Food editore, 2019
La casa editrice Slow Food nasce nel 1990 per divulgare i temi cari all’Associazione omonima, creata con l’intento di difendere il cibo “buono, pulito e giusto”. Fino a pochi anni fa, devo essere onesta, non la consideravo molto, guide a parte, mi sembrava una casa editrice più di settore, da addetti ai lavori, che non credevo avesse molto da dire alla me cuoca di casa. Ma da alcuni anni ormai la chiocciolina Slow Food ha messo il turbo e, passando attraverso un restyling grafico e di contenuti, presenta ora un catalogo accattivante e, soprattutto, variegato: da edizioni rilegate, esteticamente appetibili, con belle foto e racconti interessanti, a libri originali sulle cucine internazionali, a ricettari “svelti” ma pieni di informazioni, come questo di cui voglio parlarvi, che mettono sempre in primo piano la bontà di preparazioni e ingredienti e, elemento degno di nota, cercano di valorizzare il lavoro di professionisti italiani, come cuochi e come autori.
Questo libro fa parte della collana “Ricettari Slow Food” che raccoglie, dividendole per argomenti o provenienza regionale, le ricette dei cuochi e delle Osterie legate all’associazione. Ho pensato di inserirlo sia perché amplia lo spettro di analisi alla cucina di tutto il Lazio, sia perché la cucina romana è “bona da morì” oltre che molto varia e rende, quindi, necessario avere un ricettario pratico da tenere sempre a disposizione. Non ultima ragione è che, come qualcuno forse noterà dalla foto di Prefazione, che ritrae l’ingresso de Lo’steria di Ponte Milvio, in questo libro sono raccolte anche ricette del mio amico Luca Ogliotti (che poi, mica tanto amico, visto che ho scoperto per caso questa presenza e il libro me lo sono anche comprato da sola!) con cui ho chiacchierato in questo numero di Sfoglia.
«Una cucina saggia, senza dubbio: decisa, diretta, comunicativa, energica, imperiosa e che non lo manda a dire. Come di prassi, d’altro canto, fra chi è nato e cresciuto nel nostro Lazio»
Nell’introduzione vengono spiegati gli ingredienti tipici della regione (la struttura è la stessa degli altri titoli di questa collana) in un rapido viaggio tra prodotti di eccellenza, con ovvia attenzione per i presidi Slow Food. È un modo per scoprire, per chi non lo sapesse, quanti prodotti eccezionali si trovano solo nel Lazio (vi parlerò un giorno delle mie frequenti crisi di astinenza da puntarelle, ma non è questo il giorno). Ed è anche un utile approfondimento culturale, per imparare il nome di alcuni piatti o ingredienti chiamati in modo diverso rispetto al resto d’Italia, così da essere preparati se vi dovesse capitare di ordinarli. Penso all’arzilla (la razza), alla pajata (intestino tenue), ma anche all’agnello che da noi è abbacchio, e ai broccoletti che, come ho scoperto sulla mia pelle, solo i fruttivendoli romani ti fanno trovare “capati”, in altri posti è meglio rimboccarsi le maniche, investire un po’ di tempo, e pulirli da soli.
«Attenzione, in Lazio il termine broccoletti può indicare anche le cime di rapa, ottime anche semplicemente ripassate in padella»
Le ricette, suddivise per categorie classiche, si susseguono intervallate da belle foto, alcune di Barbara Torresan, autrice e food photographer molto conosciuta, nota anche per il suo blog Chez-Babs che cura dal 2008. Di ogni preparazione vengono date molte informazioni: prima di tutto il cuoco o l’osteria che ha fornito la ricetta, poi, in fondo al procedimento, delle interessantissime note esplicative sugli ingredienti o sulle tecniche preferite dai cuochi stessi.
Un aspetto che ho molto apprezzato è l’inserimento di piatti meno “chiacchierati”, forse troppo spesso oscurati dalle famosissime “pastasciutte”, ottime sicuramente, ma che non rendono bene la complessità e la varietà di questa offerta gastronomica. Si parla, ad esempio, della “Tiella di Gaeta” (una pizza rustica, con impasto lievitato, chiusa, ripiena di una specie di ragù di polpo o calamaretti), del “Tortino di aliciotti e indivia” (un classico mutuato dalla tradizione ebraica), della “Minestra di broccoli in brodo di arzilla” (piatto, purtroppo, difficile da trovare e che, se vedete inserito in un menù, vi consiglio caldamente di ordinare). C’è anche tanto pesce, come il “Baccalà alla romana” cotto in umido con pinoli e uvetta. E ci sono anche contorni sconosciuti ai più, come la “Vignarola”, un piatto tipico primaverile, che combina la freschezza e la dolcezza di carciofi, piselli, fave e asparagi e che può essere usato anche come condimento per la pasta, magari con l’aggiunta di un po’ di guanciale croccante (e vi pare che facciamo un piatto senza?).
Anche tra i dolci mi ha sorpreso trovare la ricetta del “Pangiallo” un dolce tipico del periodo natalizio, una bomba di frutta secca e miele, che nella mia famiglia è tradizione preparare in grande quantità, e con largo anticipo, per poi regalare come dono di Natale a parenti e amici. Mi permetto, però, di dissentire con la ricetta fornita, perché quella originale De Bernardino, tramandata da generazioni, non prevede aggiunta di cioccolato, perché potrebbe un po’ coprire il sapore della frutta secca che, se di ottima qualità, deve essere la regina incontrastata di questo dolce bruttino ma buonissimo.
3. Carla Magrelli (a cura di), Roma in cucina, The Flavours of Rome, Sime Books, 2015
Questo libro è un mio grande cavallo di battaglia. Ci conosciamo? Sappiate che, se non l’ho già fatto, potrei regalarvelo.
C’è stato un momento in cui mi sono accorta di una grave carenza nella mia collezione (tranquilli, ho rimediato) proprio in ambito cucina romana. Il motivo era forse che queste ricette sono parte integrante del mio patrimonio familiare: mia nonna paterna aveva una trattoria nel quartiere di Monteverde vecchio, circa mille anni fa, cosa che ha contribuito a rendere mio padre un cuoco di casa decisamente sopra la media e me un’ossessiva ricercatrice di ricette (perché secondo voi qualcuno di loro ha mai trascritto qualcosa?).
Quando mi sono messa in cerca di titoli specifici sull’argomento, libri contemporanei, magari con belle foto, con mio grande stupore non ho trovato granché, fino a quando, in una libreria, mi sono imbattuta in questo bel volume rilegato che mi ha subito incuriosito perché scritto sia in italiano che in inglese.
È un libro inaspettato, pensato e realizzato in maniera molto furba. Prima di tutto le foto di Barbara Santoro sono bellissime e lo rendono immediatamente diverso dal classico libro di cucina regionale a cui siamo abituati. Viene fuori una Roma calda, piena di sole, che accoglie e nutre con i suoi piatti rustici e pieni di sapore, ci sono primi piani degli ingredienti e scorci di San Pietro, ugualmente opere d’arte, sempre godibili per chi abbia voglia di venire a scoprirle.
Anche qui le ricette sono elencate nell’ordine delle portate, con alcune incursioni di pagine dedicate ad ingredienti o piatti speciali: i ceci di Valentano, con cui fare la nostra pasta e ceci (base acciughina, avete presente?), le lenticchie di Onano, la porchetta e la “pupazza di Frascati”, un biscotto che ogni bambino romano dovrebbe aver assaggiato e di cui dovrebbe ricordare l’aspetto inusuale.
«E c’è chi ha addirittura inventato una pupazza con la pasta di miele che esibisce ben tre seni prosperosi: due per il latte e uno per il vino dei Castelli, che secondo la leggenda riusciva ad addormentare anche i bambini più irrequieti»
Ogni ricetta, spiegata sia in italiano che in inglese, riporta in fondo l’abbinamento con il vino e nella parte finale del libro c’è tutto un capitolo dedicato al vino, che racconta i vitigni più importanti e presenta anche alcune bottiglie. In conclusione è inserita anche una mini guida “mangiare e bere a Roma e dintorni” con ristoranti e trattorie che vale la pena di visitare. C’è Roscioli, ovviamente, ma anche Settimio al Pellegrino (un’insegna più che storica, posto del cuore di intere generazioni cinematografiche romane, che riaprirà presto con una nuova gestione) e il Filettaro di Largo dei Librari, accanto a Via dei Giubbonari, perché se non avete mangiato in piedi, nella piazzetta, un filetto di baccalà fritto, grande come la vostra faccia, vi siete persi una gran cosa.
La selezione delle ricette mi ha colpito, trattandosi di un libro che si rivolge anche ad un pubblico straniero, perché accanto ai “soliti noti” ci sono piatti veramente casalinghi, quelli che le nostre nonne e mamme ci hanno proposto fino allo sfinimento: le “bavette al tonno” un primo tipico della cena della Vigilia di Natale (che credo di aver mangiato - non esagero - ogni anno per vent’anni consecutivi), “riso e indivia”, “straccetti”, “saltimbocca”, “pollo con i peperoni” un must delle tavolate estive (sempre cose leggere, mi raccomando), e le “zucchine ripiene al sugo” (fiore all’occhiello della cucina di mia nonna materna, pioniera del batch-cooking, che ti fulminava con lo sguardo se provavi a chiedere il bis, perché avresti scombinato tutti i suoi piani di congelamento e riutilizzo).
Il mio consiglio è di regalare questo libro, che vista la traduzione è davvero versatile, e magari sfogliarlo insieme agli amici per organizzare un bel pranzo ricco in compagnia. Tutti i libri sono ancora, e saranno sempre, un regalo stupendo ma, a mio parere, quelli di cucina lo sono ancora di più, perché dicono “ho pensato a te, a quello che ti piace, in modo che tu penserai a me quando cucinerai”.
Fuori menù:
L’educazione passa anche dalla tavola e questa deliziosa guida di Wow Kids “I sapori di Roma” è lo strumento perfetto per far conoscere le specialità romane ai piccoli viaggiatori
Elisia Menduni è anche la creatrice del “Mostro di farina” il famoso logo del panificio di Gabriele Bonci, per saperne di più guardate questa puntata di Chef’s Table Pizza su Netflix
“Gola” è il podcast di Katie Parla, in cui racconta la storia e la cultura del cibo in Italia
Adesso scusate ma esco a comprare il guanciale. Mi ritroverete, insieme alla prossima intervistata, nella vostra affollata casella di posta elettronica, il 27 Ottobre con un nuovo sfavillante numero di Sfoglia.
Maaaaa, devo smettere di leggerti o me compro tutto!
Allora Roscioli ce l’ho. E ok. Di slow food ho pochissimi libri, sarò normale? Devo un po’ rimediare mi sa. Della SIMEBooks ne ho invece un botto la mi manca Roma. Anche qui, sarò normale? Credo dipenda dal fatto che a Toma ho vissuto vent’anni, e allora sai ci pensi poco a « casa tua ». C’è anche da dire che fino a qualche anno fa non c’era poi molto in materia romana e laziale...
Comunque sai una cosa? Io i libri rivolti agli stranieri così, di pregiudizio, li guardo con sospetto, ma questi della SIME ne fugano assai di sospetti. E questo su Roma me tocca comprarlo 😜
Me l'ero persa questa! quanti libri che mi fai scoprire, la mia whist list si allunga ogni volta!