Pensate mai allo svezzamento dei neonati? Io ci penso spesso (non è proprio il mio Impero Romano, ma quasi) non solo per tirare un sospiro di sollievo essendomelo lasciato alle spalle, ma anche per un discorso legato ai sapori. La prima pappa che il pediatra di famiglia di solito suggerisce per l’inserimento dei cibi solidi, è una crema fatta con polvere di riso o mais e tapioca, reidratata con il brodo vegetale e insaporita da un cucchiaino di Parmigiano Reggiano. Prima ancora di introdurre la carne, il primo sapore che i neonati italiani sperimentano è quello del Parmigiano.
Come dice Massimo Bottura «il sapore del Parmigiano è il perfetto umami: l’equilibrio perfetto tra dolce, salato, acido e amaro» e trovo incredibile che proprio questa combinazione, unica al mondo, formi il palato di bambini di 5-6 mesi. È certamente vero che essere italiani non è automaticamente sinonimo di passione per il cibo, di consapevolezza alimentare, di interesse per la gastronomia, ma credo che, in un modo o nell’altro, quell’originario, immediato confronto con un sapore così complesso costituisca un segnale, una memoria del palato, che è lì, pronta ad essere riattivata.
Negli ultimi anni c’è stata talmente tanta Italia nel mondo, in televisione, sui social, nei ristoranti, nei libri, che noi per primi ci siamo probabilmente stancati della nostra cucina, della retorica della nonna, di una tradizione importante che spesso sembra costrizione. Eppure c’è tutto un movimento, di questi “cervelli in fuga”, appunto, food writer bravissime, italiane e non, che hanno iniziato ad affrontare la cucina italiana con uno sguardo contemporaneo, riscoprendone sfaccettature che erano state fagocitate dal cliché della “Cucina Italiana”.
Sono stati pubblicati libri stupendi, accomunati da un grandissimo lavoro sulle fonti, da una ricerca e uno studio approfonditi delle storie legate ai piatti, e da un’attenzione alle peculiarità, alle nicchie, della tradizione culinaria italiana. Sono però libri che non sono stati pensati per il pubblico italiano, ma internazionale, e sono, infatti, tutti scritti in inglese, anche quelli di autrici italiane, che hanno avuto da case editrici americane l’opportunità di creare un prodotto come lo avevano immaginato e sognato, che andasse molto oltre l’idea di libro di cucina vincente sul mercato editoriale italiano.
Il mio sogno è che questi tre libri, in particolare, vengano al più presto tradotti, perché stavolta non si tratta (solo) di libri da collezione, belli da guardare, appassionanti da leggere, si tratta di volumi che andrebbero tenuti sempre a portata di mano, direttamente in cucina, per ricevere ispirazione quotidiana, per imparare tantissimo e cucinare altrettanto.
Quindi vi avviso: in questo numero di Sfoglia ci sarà poco da chiacchierare, ma molto da cucinare, grazie ai 3 libri di cucina di “cervelli in fuga”.
1. Benedetta Jasmine Guetta, Cooking alla Giudia, Artisan, 2022
«Time has a way of eroding the past. One of the things that makes us human is to attempt to prevent this erosion, to keep the past alive. […] I believe that sharing recipes is a very effective way to preserve our memories»
Devo fare una premessa. Quando ho iniziato a progettare questo numero e ho ripreso in mano questo libro sulla cucina ebraica italiana non si era ancora verificato il dramma che si sta compiendo in questi giorni nella striscia di Gaza. Ho cucinato moltissimo da questo libro, da quando l’ho comprato, facendolo arrivare dall’America perché non riuscivo a trovarlo, fino a due giorni fa, quando avevo proprio voglia di quel dolce pazzesco che è la pizza di Beridde.
Adoro la cucina ebraica, molti piatti della quale sono parte integrante della tradizione culinaria di Roma, piatti che cucinava mio padre, che mangio fin da quando ero piccola, che ordino al ristorante e, sinceramente, mi sentivo un’ipocrita a parlarne così, come se niente fosse.
Il cibo, più di ogni altra cosa, è veicolo di unione, non c’è nessun gesto più potente della condivisione del cibo, dello scoprirsi attraverso esso, popoli, culture diverse, lontane o vicine, che conosciamo attraverso i loro piatti, che amiamo e ricordiamo attraverso i loro sapori. Su Sfoglia parliamo di cucina e di libri, a me non interessa addentrarmi in discorsi politici, e sono anche consapevole della mia ignoranza rispetto a tante questioni, ma non riesco a non pensare a tutte quelle famiglie, a tutti quei bambini, a tutte le ragazze e ragazzi giovani, felici, pieni di vita. E non posso esimermi dal pensare a loro mentre preparo il tortino di aliciotti e indivia, o sogno un croccante carciofo alla Giudia, o aspetto in coda davanti al forno Boccione la mia fetta di crostata ricotta e visciole.
E adesso: il libro.
«These are just some of the fascinating facts about Jewish Italian cuisine that can be uncovered by looking through the dusty recipe books of Italian Jews; they provide evidence of how migration, poverty, and even oppression can, over time, give rise to some extraordinary delicious food»
Benedetta Jasmine Guetta è una delle due menti di Labna, l’unico blog italiano interamente dedicato alla cucina ebraica, nato nel 2009, che le ha permesso di studiare in modo approfondito i legami tra la cucina italiana e quella ebraica. Indagare questa reciproca influenza è l’obiettivo del libro, che non si concentra solo sulle città con le comunità ebraiche più forti e attive, come Roma o Milano, ma analizza piatti di tutte le regioni italiane che, per la loro storia o per i loro ingredienti, sono entrati nella nostra tradizione grazie a queste comunità; e si dedica anche a quei piatti che gli ebrei italiani consumano quotidianamente, e che hanno in qualche modo riadattato per renderli kosher.
Il risultato sono più di 100 ricette deliziose, spiegate benissimo, un catalogo di piatti regionali imprescindibili, per la tavola di ogni giorno o per quella delle feste, accompagnati da incursioni dell’autrice su storia, cultura e tradizioni, sul significato delle festività ebraiche e l’importanza che ha un particolare cibo in ognuna di queste.
«The life of a Jew has its own special rhythm, marked by the many holidays in our calendar that reconnect us with God, our family, and our community»
Dietro questo libro c’è un lavoro enorme, e traspare, da ogni pagina, il desiderio dell’autrice di preservare quelle tradizioni culinarie italiane ebraiche che entro poche generazioni probabilmente scompariranno, perché tendiamo a guardare fuori, a guardare oltre, prima di guardare dentro, prima di guardare indietro, tendiamo a dimenticare quanta parte vegetale c’è in questa cucina, quanti legumi, quanti deliziosi sapori agrodolci, quanto cibo sano e gustoso e quanto ancora si potrebbe imparare.
2. Rachel Roddy, An A-Z of Pasta, Stories, Shapes, Sauces, Recipes, Penguin Fig Tree, 2021
«Years ago I was given some food writing advice: to recognise when to approach something with my head, and when to approach it with my stomach»
Quanta pasta consumiamo? Quanta pasta mangiamo (o vorremmo mangiare) ogni giorno? Quanti di voi onestamente negherebbero che gli spaghetti al pomodoro e basilico sono il “piatto da isola deserta” per eccellenza? Eppure: quanto sappiamo della nostra pasta?
Rachel Roddy è una food writer britannica, una firma di Feast del Guardian su cui cura la rubrica settimanale A Kitchen in Rome, in cui racconta la propria vita gastronomica. Da sedici anni ormai vive in Italia, prima in Sicilia e ora a Roma, e oltre ad essere un’autrice con un talento enorme, uno stile di scrittura che mi lascia ogni volta a bocca aperta, ha una capacità di comprendere l’Italia, e Roma in particolare, invidiabile, ha il dono di trovare sempre le parole perfette per descrivere una situazione, un luogo, un piatto e rievocare le esatte sensazioni che abitano i ricordi di chi legge.
An A-Z of Pasta è il suo ultimo libro, un dizionario con 50 voci, 50 tipi di pasta, da Alfabeto a Ziti, ognuno raccontato, spiegato e cucinato. È un libro che si dovrebbe consultare continuamente, per come tratta un argomento così vasto e sfaccettato, per come parte sempre dallo studio dei libri, passa attraverso l’esperienza delle persone e arricchisce ogni ricetta con storie personali.
«The ideal simmer. A gentle rumble with an occasional rising bubble that bursts and sends a red splatter across the stove or up the wall, a reminder that sauce may be calm, but won’t be contained»
È anche un libro stupendo, come solo gli inglesi sanno fare (e in quanto a design la Penguin non si fa certo guardare dietro, come direbbero a Roma) il formato, la copertina in carta tessuto, il carattere del titolo, il design della carta che riveste internamente la copertina (e che vorrei come carta da parati), i colori. È una miniera di ricette versatili, che non possono rimanere lettera morta, e sono anzi perfette per un uso quotidiano.
Quanti piatti cuciniamo ogni giorno in modo automatico e un po’ stanco, quante ricette tradizionali, ormai parte del nostro repertorio, potrebbero migliorare con un ingrediente diverso o una tecnica nuova, o con una conoscenza più approfondita delle loro origini. La grandezza dell’autrice è proprio questa: offrirci uno sguardo nuovo su piatti classici, una maggiore consapevolezza sulle possibilità di un alimento semplice come la pasta.
«I like this story […] for the idea that cooking traditions are passed on in various often strange ways, that for women cooking traditions often contain a burden that may or may not diminish the pleasure, that choice is a powerful thing»
La bravura di Rachel Roddy sta anche nella sua capacità di andare in profondità, di ragionare veramente sul cibo, di inserire con naturalezza, nei saggi che accompagnano le ricette, riflessioni più ampie: sul peso della tradizione, sulla libertà in cucina, sul potere dei ricordi e su tutti gli aspetti di un rapporto complesso come è quello con il cibo. È un peccato che qualcuno pensi che tutto questo possa non essere interessante per il pubblico italiano.
3. Giulia Scarpaleggia, Cucina Povera, Artisan, 2023
«The sound of a fork beating an egg in a ceramic bowl to make frittata for dinner is the sound of home to me»
I tre libri di oggi, oltre a parlare di cucina italiana con un approccio molto contemporaneo, hanno molto in comune anche da un punto di vista di contenuto. Alcune ricette si trovano in tutti e tre i libri, o in due su tre, ma sono raccontate in modo diverso, filtrate attraverso la sensibilità delle autrici.
Anche la Cucina Povera di
(che non credo abbia più bisogno di presentazioni, trovate qui la nostra intervista e qui la diretta in cui ci mostra la sua libreria di cucina) ha trovato una casa nell’editore Artisan, una divisione del gruppo Hachette, incentrata su «beautiful books that inspire and instruct». Non credo ci sia migliore definizione di questa per presentare il libro di Giulia.Prima di tutto è bellissimo: le foto di Tommaso Galli, marito di Giulia, fanno parlare ogni piatto, sono vivide, piene di dettagli, luminose. È di grande ispirazione perché ragiona sulla cucina italiana degli ingredienti più semplici, quella del riuso, la cucina consapevole di cui oggi si parla tanto e che è sempre stata una parte fondamentale della storia gastronomica italiana. Ed è un libro che istruisce ed arricchisce, che racconta come gli ingredienti poveri siano entrati e diventati la base della cucina tradizionale italiana, come venivano usati e quali sono le ricette che oggi ha senso recuperare.
«It is not just their taste or texture, or how they are consumed: diary products are a concentration of the culture, traditions, and history of a region in edible form»
L’amore di Giulia per il suo lavoro è sconfinato, la passione, l’approfondimento che mette in tutto quello che fa è incredibile. Anche il piatto più umile, una pappa al pomodoro, una panzanella, sono spiegati e raccontati nel dettaglio, nulla è lasciato al caso in questo viaggio attraverso la storia culinaria italiana, attraverso le cucine regionali, che ci ricorda piatti che probabilmente ci hanno cresciuto e sfamato, a partire da quel primo cucchiaino di Parmigiano, e che sono ora più attuali che mai.
«Alliums are the critical elements that build flavor in a dish, the bass notes of an Italian melody, a catalyst of flavor, a quintessential ingredient for soups, sauces, and stews»
E poi ci sono le parole di Giulia, che meriterebbero di essere lette nella sua lingua, che hanno trovato volume e direzione durante i tantissimi corsi di cucina, attraverso la newsletter e il podcast. Parole per comprendere il valore di ciò che si sta cucinando e per cucinarlo al meglio.
Sfoglia torna la prossima settimana con un nuovo Fuori Menù, tanti link e una nuova playlist che potrebbe prendere delle pieghe inaspettate. Stay tuned.
Io adoro la tua newsletter!
Bellissima newsletter, come sempre! E grazie per la menzione Francesca, del libro e del fotografo 😁
Speriamo che la tua analisi sia di auspicio per tutti e che possa arrivare a qualche editore italiano interessato! 🤞🏻🤞🏻