Sfoglia 3 libri di cucina con idee eccezionali
aggeggi di cucina, cos'è il food writing e l'ultimo Ottolenghi
Non parlo francese. Talmente non parlo francese che nel primo viaggio on the road fatto in gioventù, un bellissimo giro in Normandia e Bretagna, chiesi insistentemente al proprietario della Chambre d’hôtes (sì, a quei tempi non esisteva Airbnb, si usava molto poco Booking e le uniche foto disponibili sui siti beige delle strutture erano due francobolli affiancati, sfocati e lontanissimi, che ti lasciavano il brivido di non sapere dove avresti dormito) dove avrei potuto parcheggiare la “machíne”.
Sono passati anni, ma non ho fatto grandi progressi con la conoscenza del francese (adesso almeno so che macchina si dice “voiture”) eppure nel 2010 quando venne pubblicato Patisserie! di Christophe Felder fu impossibile resistere alla tentazione: un tomo enorme, con la copertina fucsia morbidosa (sono quasi certa che non sia questo il termine editoriale corretto) con la promessa, impressa a caratteri cubitali, di svelare tutti i segreti della pasticceria francese.
Non era solo la smania di provare le ricette ad attrarmi, era anche l’idea di possedere un oggetto tanto bello e di valore. Grazie ad internet, e ad un vecchio dizionario Collins di mia madre, la mia copia di Patisserie! è ora corredata di traduzione a matita su moltissime pagine e la tabella degli impasti di base non ha più segreti. Certo avrei potuto aspettare qualche anno e acquistare la perfettamente comprensibile traduzione, ma in quel momento, dopo aver visto quella copertina (l’ho già detto che è fucsia?) aspettare non era un’opzione. E se nessun editore l’avesse mai tradotto? Come avrei vissuto senza sapere la giusta proporzione del burro in una crostata con frutta?
Fortunatamente con l’inglese non ho questi problemi e una grande parte della mia collezione è fatta di testi stranieri: perché? Perché molti dei miei food writer preferiti sono anglosassoni, perché il mercato britannico e americano produce una enorme varietà di titoli legati al cibo ad un ritmo invidiabile, perché in Italia il concetto di libro di cucina è ancora legato al passato e gli autori che cercano di innovarlo sono sicuramente meno (proprio negli ultimi anni bravissime autrici italiane hanno scelto di pubblicare all’estero, scrivendo in inglese, un discorso che mi piacerebbe approfondire), perché spesso libri bellissimi non vengono tradotti.
I libri di cui parliamo oggi sono tutti e tre in inglese. Uno dei tre, quello di Ottolenghi, immagino verrà tradotto ad un certo punto da Giunti (che ha già in catalogo cinque libri dell’autore) sugli altri ho dei dubbi. Ma sono libri talmente particolari, intelligenti e ispirati, che è davvero un peccato tralasciarli per lo scoglio linguistico.
Nel 2010 Google Translate forse non c’era, o forniva traduzioni imbarazzanti, oggi è tutto più immediato; addirittura gli autori del Regno Unito (gli americani, testardi, ancora non si rassegnano) si sono arresi alla superiorità del sistema metrico decimale e il peso degli ingredienti è sempre espresso in grammi, cosa che aumenta di molto le probabilità di successo nella riproduzione delle ricette.
Il mio è, quindi, un invito a non lasciarsi spaventare dall’elemento linguistico e provare ad avvicinarsi anche a libri in lingue che magari non si conoscono bene (o per niente, come nel mio caso) perché, quando si tratta di opere di valore, la bellezza affiora comunque. Entriamo, quindi, subito nel vivo della selezione di Sfoglia numero dieci: 3 libri di cucina con idee eccezionali. (Questa volta, per essere ancora più convincente, troverete anche delle note con le mie libere traduzioni delle citazioni, così non avrete alcuna scusa!)
1. Lindsey Bareham, The Trifle Bowl and Other Tales, Bantam Press, 2013
Di quanti “aggeggi” sono popolate le vostre cucine? Quanti tagliamela, spremi aglio, macina spezie dimenticati vengono eliminati durante i traslochi, per poi essere ricomprati poco tempo dopo ritenendoli essenziali?
Proprio questo insieme caotico di oggetti ha ispirato l’idea di questo libro che è letteralmente un viaggio nella cucina dell’autrice, una cucina come le nostre, piena di mille attrezzature, più o meno utili, accumulatesi nel tempo, usate quotidianamente o dimenticate in un cassetto, magari spaiate, ma che fanno sempre riaffiorare memorie e ricette.
«Practical cooking mementos like this trifle bowl are far more of a repository of memories, and of course recipes, than you might expect»
Lindsey Bareham è una giornalista britannica che per tanti anni ha curato la sezione ristoranti della rivista Time Out (che purtroppo, proprio nel 2022, dopo cinquantaquattro anni, ha smesso di essere pubblicata in versione cartacea, se ne parla qui). Non è una cuoca professionista ed ha imparato sul campo, sperimentando nella cucina di casa, arrivando poi a scrivere per l’Evening Standard e il Times e a pubblicare quindici libri di cucina.
Il concept di questo libro si sviluppa con l’elenco in ordine alfabetico di tutti questi strumenti per cucinare, per ognuno dei quali vengono fornite una o più ricette da realizzare con l’oggetto stesso. È una carrellata di tutto quello che si può trovare nei meandri delle nostre cucine: dagli indispensabili (alluminio, padella per friggere, cucchiaio di legno) fino a quelli più strani e inaspettati (pinze per aragoste, apriscatole, ulek ulek, una pietra di basalto poggiata su un piatto, una specie di mortaio per macinare il peperoncino necessario a preparare il sambal, o lo stampo per Dariole, piccoli pudding dolci o salati, ma chi lo sapeva prima di leggerlo? Non io).
Incredibilmente non è un libro didattico, ma ogni oggetto raccontato è, in realtà, un’occasione per rievocare ricordi legati alla cucina di casa, per dare consigli di utilizzo maturati con l’esperienza.
«Lids mysteriously disappear or no longer fit their box and stacks implode and multiply. They are the kitchen equivalent of pairs of socks that emerge singletons after a spin in the washing machine»
Il filo conduttore sono solo gli strumenti e le ricette sono, quindi, mescolate indipendentemente dalla portata. Sono ricette influenzate dalla tradizione asiatica, indiana, africana, unite a classici anglosassoni e mostrano un approccio attuale al cucinare in casa, molto più internazionale rispetto al passato, in cui i piatti tradizionali si sono stratificati, con il passare del tempo e l’alternarsi dei membri della famiglia ai fornelli, con altri più moderni, o ispirati da culture diverse, con ingredienti esotici e procedimenti più sperimentali.
Le attrezzature di cui dispone una food writer che conosceva Elizabeth David, da cui ha addirittura ereditato delle pentole, o che annovera tra le sue amicizie più intime Rose Gray (la fondatrice del River Cafè di Londra) non sono esattamente le stesse che popolano la mia cucina, ma la sensazione che si ha leggendo il libro è proprio quella di un quaderno di ricette di famiglia, scritte in maniera concreta, che permettono di ottenere buoni risultati senza troppa difficoltà.
«Apple charlotte is a sublime English pudding that was probably created as a convenient way of eating up gluts of windfall apples and stale bread»
Per ogni oggetto c’è un’introduzione che ne spiega le origini e l’utilizzo e indica le migliori tipologie acquistabili. In fondo al libro trovate anche un elenco di tutti i migliori negozi, fisici e virtuali, in cui reperire gli attrezzi dei marchi preferiti dall’autrice.
Le foto, e l’accurata descrizione, della cucina di Lindsey Bareham nell’introduzione del libro, ci mostrano un ambiente molto bello, ma sicuramente sovraffollato, pieno di tazze, teglie, di coltelli, pinze, ciotole e casseruole, una cucina diversa da quelle che ci propongono le riviste di design, ma indiscutibilmente piena di vita, e di storie.
2. Kate Young, The Little Library Year, Recipes and Reading To Suit Each Season, Head of Zeus, 2019
Kate Young è una bookworm, una persona che noi chiameremmo “topo da biblioteca”, una ragazza cresciuta con la testa e gli occhi fissi sui libri. «They are the true constant in my life, the grounding force, the comfort when I am homesick, anxious or lonely, a true joy when I am not»
.Nel 2009 decide di lasciare la propria casa in Australia in cerca di qualcosa di indefinibile e trova, nell’umido grigiore di Londra, esattamente quello che stava cercando, un lavoro nel settore teatrale e un’idea: unire il suo amore per la letteratura con le sue innate doti culinarie, creando piatti ispirati dalle sue letture.
«I have always been a highly suggestible, hungry reader. When discovering a new book, or revisiting an old favorite, my mind wanders, imagining what the food the characters are enjoying would taste like»
The Little Library Café è il nome del blog in cui inizia a condividere ispirazioni gastronomiche e letterarie, che vincerà nel 2017 il premio “blog dell’anno” del Guild of Food Writers (l’associazione che riunisce tutti i più importanti autori di settore del Regno Unito) e verrà trasformato prima in una rubrica sul Guardian e poi in una serie di (per ora) quattro titoli, che uniscono con grande sapienza narrativa e cucina.
I libri di Kate Young sono, per me, la rappresentazione perfetta di come ai libri di cucina vada riconosciuta piena dignità letteraria, perché se già parlare di cibo è in sé poetico, quando si abbina a grandi capacità di espressione e ottime idee non può assolutamente ricondursi ad un genere troppo a lungo considerato minoritario. Non a caso il primo della serie è stato inserito dalla regina consorte Camilla, appassionata lettrice, tra i titoli del suo bookclub The Reading Room, accanto ai più rilevanti nomi della letteratura internazionale.
Mentre il libro di esordio, The Little Library Cookbook (Head of Zeus, 2017), è una dichiarazione di intenti, che spiega perfettamente il progetto di Young e ne mostra la bravura nel raccontare il cibo attraverso e nella letteratura, e gli ultimi due (di cui, sappiatelo, riparleremo) sono tematici e approfondiscono il format già rodato, credo sia proprio il secondo quello più affascinante e ben riuscito.
In The Little Library Year l’autrice unisce bibliofili e appassionati di cucina facendo leva su una caratteristica che li accomuna entrambi: l’emotività. Il lettore accanito si fa spesso guidare dall’umore per scegliere la lettura, o rilettura, più adatta al suo stato d’animo, esattamente come il gourmet asseconda le sue voglie alimentari in cerca del piatto perfetto da gustare in un determinato momento. Emotività che è legata, inevitabilmente, alla stagionalità.
«I have written The Little Library Year as a literary and culinary almanac, a celebration of each and every season, and a way to capture the year in books, and in food»
La ragione per cui ho scelto questo libro rispetto al primo è che qui la presenza dell’autrice è fortissima. Young si racconta con commovente generosità, condivide tantissimo di sé, delle sue emozioni private e del suo personale modo di gestirle attraverso la letteratura e il cibo. Non so se vi sia capitato di chiedervi cosa sia veramente il food writing: ecco, questo è food writing all’ennesima potenza, perché ci sono le ricette, gli ingredienti e i procedimenti, ma c’è soprattutto una storia, narrata in modo impeccabile, che accompagna e dà un senso al cibo, rendendolo molto di più di una semplice raccolta di portate.
C’è un profondo senso del tempo, una descrizione perfetta delle stagioni e il libro è un intreccio costante tra vita e storia personale, grandi storie letterarie e buon cibo, casalingo ma ragionato; un continuo suggerimento di libri da leggere e piatti da cucinare.
«I immerse myself in words white with winter: in Narnia, Scandinavia, rural Russia, and the coldest English days, when the crisp, fresh snow underfoot seems to make its way off the page and into my living room»
Ogni capitolo si apre con una citazione ed un saggio dell’autrice che introduce la “stagione emotiva”, a cui seguono sezioni specifiche per i libri che hanno fornito l’ispirazione per le ricette. I capitoli si concludono tutti con “letture ulteriori”: altri suggerimenti di titoli fortemente legati ad un certo periodo dell’anno. Le ricette, chiare e ben spiegate, includono anche idee per regali edibili o piatti da consumare in compagnia.
«I was cash-poor, but time-rich, and I had a glorious new kitchen to work in. The next few weeks were a flurry of cordials, marmalades, chutneys, pickles and jams»
In sottofondo, tra i biscotti di Pippi Calzelunghe e la zuppa di pesce di Narnia si nasconde un messaggio sulla bellezza del prendersi cura di se stessi, della propria mente con i libri, e del proprio corpo con il cibo, e di non aver paura di farlo da soli, per il proprio piacere personale, per assecondare, senza sensi di colpa o pressioni sociali, le proprie inclinazioni e interessi.
Questo libro è un balsamo e tutti dovrebbero leggerlo, per come è scritto, per il senso di poesia che pervade ogni ricetta, per trarne ispirazione e, se pure non si vuole cucinare niente, per gli ottimi consigli di lettura.
3. Noor Murad & Yotam Ottolenghi, Ottolenghi Test Kitchen: Extra Good Things, Ebury Publishing, 2022
Di solito non parlo molto di ultime uscite, un po’ perché mi rendo conto che i libri di cucina sono un investimento e non si può sempre correre dietro a tutte le novità, un po’ perché quelli che da anni sono parte della mia collezione sono stati studiati a fondo e sono certa della loro validità. Eppure, da quando è entrato in mio possesso a fine Settembre, ho praticamente cucinato solo da questo libro, l’ho letto, sottolineato e riempito di post-it, ed è talmente perfetto per il tema di oggi che dovevo assolutamente inserirlo.
Citandolo nella selezione delle migliori uscite dell’autunno 2022 Diana Henry ha recentemente scritto sul Telegraph: il libro «è così pieno di idee che stavo per chiamare Yotam e dirgli “Hai rivelato tutti i tuoi segreti!”». E infatti, mentre il mercato editoriale continua a orientarsi su ricettari semplici, di cucina quotidiana, “tutto in uno”, che si focalizzano sulle esigenze di una famiglia contemporanea, desiderosa di piatti saporiti ottenuti senza troppa fatica, questo famosissimo cuoco anglo-israeliano, con il suo sorrisetto sornione, se ne esce con un libro sui condimenti.
In realtà il libro è frutto delle fatiche della Ottolenghi Test Kitchen: un gruppo di giovani chef che, dopo aver fatto esperienza nelle cucine dei ristoranti di Ottolenghi, si dedica ora esclusivamente a ricercare e sviluppare ricette che verranno inserite nei menù dei vari locali. Un’altra grande intuizione di questo chef imprenditore, che ha realmente rivoluzionato il modo di mangiare e cucinare di britannici e non, è stata proprio accordarsi con la casa editrice Penguin Random House per la pubblicazione di una serie di libri creati proprio dal gruppo di lavoro OTK (Ottolenghi Test Kitchen), il primo dei quali, Shelf Love, è stato pubblicato lo scorso anno.
Questa serie si focalizza su consigli e trucchi per fare un salto di qualità nella propria cucina. Se Shelf Love aveva l’obiettivo di fare razzia di tutti quegli ingredienti spesso tristemente abbandonati nelle nostre dispense (cereali, legumi, spezie) per elevarli a protagonisti di piatti pieni di gusto, Extra Good Things si muove nell’opposta direzione di riempire una dispensa con i propri extra: fermentati, sottoli, salse, marinati, intingoli e tutti quegli elementi che aggiunti ad un piatto, anche basico, lo rendono speciale e inconfondibilmente “Ottolenghiano”.
«These extras help you build up your fridges and shelves, to be brought out at any and every mealtime; accessorising your plates with pops of texture and colour, acidity and heat, and all the magical flavour bombs that make a good meal great»
Dalla meravigliosa cucina open space di Holloway Road, North London, il gruppo di cuochi, assolutamente variegato per provenienza e influenze gastronomiche, capitanato da Noor Murad, co-autrice dei libri OTK e voce narrante di Extra Good Things, si dedica a cercare per noi scorciatoie e trucchi per realizzare il sogno di tutti gli amanti di questa cucina e cioè «Ottolenghify your meal»: giocare con sapori, consistenze e abbinamenti, utilizzare soprattutto verdure, esaltandole con tocchi mediorientali e accostamenti che sono sempre un vera sorpresa per il palato.
Tutti i libri di Ottolenghi, senza eccezione, meritano un posto in una biblioteca culinaria che si rispetti (anzi, vogliamo fare un numero di Sfoglia tutto dedicato a questo bell’ometto? Fatemelo sapere nei commenti) ma questo in particolare mi ha davvero sorpreso per la sua genialità. C’è molto food e poco writing rispetto ai titoli di cui vi ho parlato prima, ma posso assicurarvi che il food è qualcosa di imperdibile, che andrebbe assolutamente assaggiato.
Le ricette sono lunghe e dettagliate, in pieno stile Ottolenghi, spesso sono indicati i minuti esatti dei passaggi, sono spiegate le consistenze che devono avere gli ingredienti, niente è lasciato al caso, ed è chiaro il livello di studio, la precisione e la passione con cui operano i membri della Test Kitchen.
Gli extra del libro sono suddivisi in base alla loro tipologia e ogni capitolo si apre con una foto flat-lay a doppia pagina di questi elementi speciali nei loro vasetti, con una legenda a indicarne il nome, per mostrare come siano questi i veri protagonisti del libro, che pur inseriti in un piatto specifico, si prestano in realtà a mille altri abbinamenti. A tale scopo, infatti, alla fine di ogni ricetta ci sono le istruzioni per la conservazione e i suggerimenti di altri modi per utilizzarli, perché questi extra non sono altro che piccoli regali, lasciti della preparazione di un piatto per arricchire quelli successivi.
Alcuni storceranno il naso nel trovarsi di fronte una Parmigiana Pie con melanzane unite al pecorino e sormontate di pasta kataifi, ma l’obiettivo di Ottolenghi, tra un sorrisetto e l’altro, non è rispettare alcuna tradizione, né replicare pietanze classiche di una particolare cucina, è piuttosto dare ad ogni piatto il suo tocco speciale, che difficilmente potrà essere replicato, se non attraverso i suoi consigli.
I devoti Ottolenghiani troveranno finalmente la ricetta di uno degli ingredienti più famosi e introvabili in Italia: l’harissa alla rosa (una pasta piccante di peperoncini profumata con petali e acqua di rose) la cui irreperibilità ha visto nascere un vero e proprio mercato nero, con gruppi di acquisto regionali che si ritengono fortunati a pagare un vasetto dell’unguento miracoloso “solo” il doppio di quanto costerebbe in un supermercato britannico (eccomi!).
Devo essere onesta, però, e avvertirvi che se siete digiuni di questo tipo di cucina (ho comunque una soluzione, guardate nel Fuori Menù) alcune ricette potrebbero spaventare: c’è un liberissimo uso di aglio e cipolla, uno spudorato ricorso all’olio in quantità anomale, ci sono molti ingredienti che, nella migliore delle ipotesi, vi porteranno nel più vicino NaturaSì, nella peggiore vi faranno girare a vuoto tra tutti i supermercati etnici della città o vagabondare su internet, disposti anche ad ordinare da siti olandesi non tradotti in inglese.
«It could be something as simple as fried garlic. Golden. Fragrant. Crisp. It’s this golden, fragrant and crisp garlic that gives slow-braised chard - glistening in it’s oil! vibrant from its lemon! - the added texture that the dish needed all along»
Tutto, però, è parte di un viaggio di scoperta: scoperta di sapori, di ingredienti che non avreste immaginato nella vostra dispensa italiana e che, invece, lasciano senza parole e vi rendono ancora più affamati di un mondo culinario esplosivo e colorato e, soprattutto, riproducibile, se pur con un po’ di impegno, nella cucina di casa.
Fuori menù:
Se vi piace il connubio letteratura e cibo non potete perdere la newsletter Gnambook curata da Nellie e Alessandra, aka Nelliamoci e Zazie, due amiche che leggono e cucinano ed esplorano e raccontano libri e ricette (e hanno anche un gruppo di lettura!)
Sara Porro e Myriam Sabolla, due autrici che dovreste conoscere, da fedeli adepte di Ottolenghi hanno creato un canale Telegram imprescindibile per chi si voglia avvicinare a questa cucina: in Mutuo Soccorso Ottolenghi troverete più di 2000 persone, sparse per l’Italia, e l’Europa, che si danno consigli, si scambiano pareri (e vasetti di Harissa) sulle ricette del, così ribattezzato, Sommo.
Per caso si è capito che questi libri mi piacciono molto? Vi ringrazio, come sempre, per aver letto questa lunghissima mail e perciò non mi dilungo oltre. Ci rivediamo, nella vostra allegra casella di posta, il 24 Novembre con una nuova chiacchierata e una nuova storia di scoprire.
Tu induci bisogni! Ora io devo avere tutti i libri di Kate Young! Sembra proprio il tipo di food writing the piace a me!