Sfoglia chiacchiera con Sigrid Verbert
food blogger, autrice, ceramista presso Sigrid Ceramics Studio, Roma
Siamo nel 2005. Un articolo pubblicato sul Corriere della Sera sabato 26 Febbraio titola «Ragù, patate, lardo di montagna. La rivincita dei piatti «pesanti». Esce la nuova Michelin in Francia e premia i sapori popolari». Nell’articolo, firmato da Stefano Montefiori, si racconta di come, in controtendenza rispetto alla predominante cucina “salutista”, una riscoperta di gusti forti, partita dall’America, stia conquistando anche i grandi chef europei. In un trafiletto si parla di Mario Batali, nuovo chef sensazione di New York, e in generale l’attenzione si focalizza su una cucina imposta dall’alto, quella dei grandi chef premiati dalle grandi guide. In questo, come in altre edizioni successive, non ci sono accenni ad un fenomeno che sta per cambiare il modo di fruire e parlare di cucina e cioè il food blogging. I blogger sono una realtà completamente nuova, sono insieme giornalisti, editor, fotografi e cuochi, condividono la loro personale esperienza di cucina in maniera diretta e non filtrata, coinvolgendo chi legge e accorciando le distanze con gli appassionati. I blogger di cucina nel 2005 sono ancora pochissimi: c’è David Lebovitz, ex cuoco di Chez Panisse, che nel 1999, in concomitanza con l’uscita del suo primo libro, apre un “sito” (il termine blog ancora non era in uso) per raccontare storie e condividere ricette. C’è Heidi Swanson, autrice di 101 Cookbooks, online dal 2003, creato come modo per smettere di accumulare libri di cucina e iniziare a cucinarne le ricette. E il 15 Marzo 2005, con la ricetta di una torta morbida al cioccolato “Moelleux au chocolat”, una ricetta tutta raccontata, senza elenco separato degli ingredienti, con una semplice foto in alto, appare Il Cavoletto di Bruxelles, il blog della giornalista belga, trapiantata in Italia, Sigrid Verbert, pensato come «tentativo di sostituire con qualcosa di pulito e ordinato il vecchio faldone pieno di ritagli macchiati». Oggi forse sembra strano, ma per molto tempo sono stati i blog le nostre letture preferite, il modo per scoprire e approfondire gli argomenti che ci appassionavano, al di là delle proposte mainstream. Tracce di questo universo sono ancora presenti nei miei Segnalibri di Safari, organizzati per cartelle (moda, musica, cucina, design..), ogni cartella piena di una lunga lista dei miei blog preferiti. Segnalibri che ormai uso pochissimo, ma in cui si trova ancora al primo posto, nella cartella Cucina, proprio il Cavoletto. L’elemento che mi ha sempre attratto dei blog è che fossero creati da persone che, più di tutto, amavano scrivere e Sigrid non ha mai fatto eccezione: il suo tono ironico, i riferimenti di lettrice e osservatrice della cultura contemporanea, la commistione di italiano, francese e inglese nella scrittura, le sue anime di viaggiatrice e vera cittadina del mondo, hanno reso fin da subito quel blog un luogo speciale, che ha conquistato tantissimi affezionati lettori e ha permesso alla sua autrice di «fare il lavoro che desideravo, ovvero scrivere di cucina».
Non penso che Sigrid necessiti di particolari presentazioni, dopo aver pubblicato 4 libri solo in italiano, più altri in francese, alcuni dei quali, come “Il libro del cavolo” e “Regali golosi”, diventati veri oggetti di culto, per le ricette infallibili, per le foto luminose, per l’eleganza e la raffinatezza che l’hanno resa sempre riconoscibile e sempre unica. Conosco tante persone che hanno almeno una sua ricetta preferita, su cui continuano a fare affidamento, persone che quest’anno, quando il sito del Cavoletto sembrava essere scomparso, sono impazzite all’idea di perdere quel prezioso archivio. Per fortuna, vista la mia maniacalità, le ricette per me imperdibili (come quella degli Speculoos) erano già tutte trascritte e archiviate nel mio quadernone, ma quello che mi dispiaceva di più era perdere le tracce della mia rubrica preferita: “Books for Cooks” (che sorpresa!) comparsa per la prima volta nell’estate del 2007, in cui Sigrid «cookbook addict since 2005» raccontava i libri di cucina acquisiti e letti in un dato periodo, analizzandone la grafica, le foto, enucleando dei trend, parlando delle ricette e degli autori (non penso debba farvi notare la chiara ispirazione).
Da appassionata, da collezionista, da studiosa ammiro profondamente la creatività di Sigrid, che non si è mai fermata solo al cibo, e che ha saputo sempre dominare, dosare, plasmare, crescendo, verso nuove esperienze, fino a trovare la sua attuale strada nell’artigianato della ceramica, nella creazione di oggetti per la tavola che esaltino il cibo e nell’apertura di uno “Studio aperto” a Roma, dove condividere il suo sapere, con la stessa grazia, ironia e dedizione a cui ci aveva abituato sulle pagine di Cavoletto.
La ceramica: perché?
E perché no? Comunque, è andata così: c'è stato un periodo, negli Stati Uniti, quando ancora lavoravo come fotografa food, in cui continuavo a vedere, nelle pubblicazioni food americane, dei piatti che mi piacevano molto. Erano organici, poco uniformi, vivi, quasi, e per lungo periodo non capivo cosa di preciso li rendesse così diversi. Poi un giorno ho trovato su Food&Wine un'intervista con una giovane ceramista di Los Angeles che faceva piatti per ristoranti, e lì ho capito che la differenza consisteva nel fatto a mano vs il prodotto industriale! E quando ho capito che in teoria potevo anch'io imparare a fare piatti, e plasmare cose che invece di essere, come il cibo, effimere, sarebbero rimaste nel tempo, sono rimasta davvero fulminata. Poi ho trovato uno studio su Broadway, a pochi isolati da casa mia, sono andata ad iscrivermi e non sono più uscita da lì per quasi tre anni.
Un ricordo della tavola di quando eri piccola
Se mi avessi chiesto di cibi dell'infanzia, ti avrei sicuramente - sono quasi certa di averlo fatto in passato qua o là - parlato proprio di stoviglie, quelle di mia nonna. Ogni cibo di quand'ero piccola - le crostatine al riso o al frangipane, il tè al gelsomino, il brodo di aragosta, la sogliola alla mugnaia o i panini al granchio - è legato a certe stoviglie: porcellane dipinte di roselline per il tè dopo la lezione di violino, i piattini inglesi (la linea era Blue Italian, di Spode) per le cene informali, il Musselmalet di Royal Copenhagen dei giorni della settimana. La verità è che le ceramiche hanno sempre viaggiato insieme al cibo nella mia mente.
Sei nata in una cittadina del Belgio, poi hai vissuto a Roma, a Parigi, in Giappone e a New York: che differenze trovi nel modo di concepire e vivere la tavola tra queste culture?
Sono nata a Oostende, una città sul Mare del Nord, è un porto di pescatori che ha avuto la sua epoca di gloria Liberty ai primi del ‘900, quando divenne un luogo di villeggiatura termale per la casa reale e la classe borghese di tutto il paese. Immagino che dovrei dirti che gli italiani hanno particolarmente a cuore la tavola, la condivisione, il buon cibo... in realtà io penso proprio che la tavola abbia la stessa valenza in tutte le culture. Che io mi sia seduta per la pasta al forno con la famiglia allargata a Ferragosto, per un couscous ospite da una umile famiglia marocchina, al tavolo di Thanksgiving con gli amici di New York o su una tovaglia sotto i fiori di ciliegio in un parco di Kyoto a condividere maki con la mia amica Chika, la tavola è sempre quel luogo dove ci si è venuti ad incontrare, dove portiamo cose buone che vogliamo con-dividere. Penso davvero sia un luogo, e un desiderio, quello di stare insieme intorno a cibi buoni e abbondanti, del tutto atavico, una di quelle cose che tutti ci portiamo dentro fin dall'alba dei tempi, o giù di lì.
Negli ultimi anni mi sembra ci sia molta più attenzione all’artigianato della ceramica, addirittura Nick Cave, nel suo ultimo libro, parla della sua passione per questa arte: che differenza noti tra ceramica e cibo come veicolo della tua creatività?
Non solo Nick Cave: per un periodo a New York ho avuto per vicina di tornio la - fra l'altro simpaticissima - cantante dei Cardigans! Per me la differenza sta nel duraturo vs l'effimero. Ne consegue anche che la ceramica è un'esercizio più rigoroso, più esigente. In cucina, forse conta più l'estro del momento e nella cucina editoriale si può barare di più: posso farti vedere solo questo lato, perfetto, della crostata, e nascondere quell'altro meno bello, posso aggiungere accessori e ingredienti a distrarre l'occhio o a rendere più ricca ed affascinante la scena, posso intervenire con Photoshop in vario modo sicché alla fine ho creato un'immagine, magari bella, e tanto tu quel cibo non lo mangerai mai (preciso che io ho sempre tenuto a fotografare cose perfettamente buone e commestibili, ma si sa che nel foodstyling succede di tutto). La ceramica, invece, per quanto viene fotografata anche quella, alla fine della fiera è un oggetto che andrà in giro e che parlerà per sé: andrà in case dove persone potranno usarlo, toccarlo, e vederne gli eventuali difetti. Posso anche fare una bella foto ma se poi la ceramica è pesante, poco regolare o fatta male, ve ne accorgerete. Quindi deve essere tutto preciso, eseguito in modo giusto, non c'è spazio per nascondere nulla. E quel tipo di rigore, che ha un che di ossessivo e monacale - anche se poi alla fine credo si chiami semplicemente “artigianato” - si ottiene solo con costante lavoro e attenzione, non si può improvvisare.
La maggior parte delle tue creazioni per ora è oggettistica per la tavola, quanto incide la tua esperienza di autrice food nell’ideazione dei tuoi prodotti?
Moltissimo. Come ti dicevo le due cose sono state legate nella mia infanzia, poi sono state legate nel mio lavoro di foodwriter/fotografa, e rimangono legate in quanto faccio i pezzi che vorrei sulla mia tavola e nella mia cucina (o nella mia casa quando faccio vasi o oggetti decorativi, che comunque sono in effetti una parte minore). E i pezzi che voglio intorno a me sono semplici, naturali, non sovrastano i cibi, ma li accompagnano in modo organico (o per lo meno così spero!). E proprio come detesto l'idea di riempire la casa o la cucina di ingombranti gadget che servono un solo scopo, mi piace l'idea di oggetti ceramici di una semplicità versatile, di uno stesso oggetto che possa servire molteplici funzioni, a secondo del bisogno o della voglia.
L’impressione che ho sempre ricavato dal blog e dai tuoi libri è che ci tenessi a vivere a pieno il luogo in cui ti trovavi, in modo molto attivo. Come ha accolto il quartiere in cui vivi, e la città, questo nuovo progetto dello Studio di ceramica?
È sicuramente così anche se sinceramente, come sai, poi hai figli e la città che era un grande terreno di giochi l'attimo prima, diventa molto più piccola. Ormai mi muovo soprattutto fra scuole, studio, piscina, Stadio dei marmi e la cartoleria sotto casa. Detto questo, in effetti, quando sognavo lo studio volevo proprio che fosse radicato in un luogo, desideravo che le persone potessero affacciarsi. E lo hanno fatto! Però bisogna anche dire che questi commerci “nuovi” (includo il mio e molte botteghe e atelier di miei amici creativi che non a caso hanno sostituito attività più o meno storiche) sono un po' sui generis. Certo, si vogliono ancorati nel terroir, però poi spesso hanno una doppia anima, nel senso che hanno un retroterra internettiano (solitamente social, anzi Instagram) che porta clienti e lavori da tutt'altre parti. E mi spingerei pure a dire che se non ci fosse quel sostegno della rete, non è detto che sarebbe facile far quadrare i conti.
Ora che hai lo studio organizzi corsi, interagisci con il tuo quartiere, mentre immagino il lavoro precedente fosse più solitario, sei contenta di questo cambiamento?
Certo! Col senno di poi avrei dovuto mettere su un “Cavoletto Studio aperto”, ma erano altri tempi e per come era cresciuta quella attività - e per come era il mondo dei blog allora - era davvero un one woman show, il che alla fine ha sicuramente contribuito a stancarmene. Quindi sì, ora c'e uno spazio che innanzitutto è il mio spazio di lavoro, ma essendo su strada l'idea di sempre è che le persone potessero entrarci, curiosare, vedere il lavoro del tornio, toccare l'argilla cruda, fare le domande che vogliono, prendere in mano gli oggetti, soppesarli, toccarne la terra, lo smalto, indugiare. E poi questo studio in effetti si è man mano popolato di persone venute ad imparare, e conoscere questa piccola tribù che frequenta questo spazio è una bella avventura. Non mi sono mai vista come una persona che potesse insegnare, e invece una delle conseguenze dell'avere lo studio aperto è che ho scoperto quanto sia bello condividere quelle poche cose che sai: insegni ma nel contempo, e in cambio, vieni sempre arricchito e stimolato da chi è venuto ad imparare. Questo perché ciascuno porta con sé le proprie referenze, la propria storia, il suo senso del bello, i suoi desideri da realizzare in argilla, e interagire con tutti questi mondi nuovi è motivo di costante stimolo e sorpresa.
Quali sono le persone, gli artigiani, a cui ti ispiri maggiormente o che ti piacciono di più?
Amo e apprezzo il lavoro di molti, ma raramente vedo cose che mi ispirano a creare qualcosa di mio. Mi ispirano più dei mood, delle musiche, la luce, gli elementi della natura, atmosfere, un sentire, forse. Se proprio devo fare un nome di una persona che trovo di ispirazione allora ti direi Georgia O’Keeffe, con quella sua creatività incisiva sempre, un senso per la bellezza cruda e insieme elegante il giusto, con quello spirito orgoglioso e indipendente, che mi fa pensare che fosse una donna ferocemente indipendente.
Sei stata una pioniera del food blogging italiano, con uno stile tutto tuo, forse ineguagliato. Ora che Il Cavoletto di Bruxelles non esiste più (tranquilli, esiste, è di nuovo online, ma come archivio n.d.r.) cosa rimane, quali tracce, nella tua casa, nel tuo lavoro, di quella esperienza?
Mah, siamo ciò che abbiamo fatto e vissuto, quindi Cavoletto, c'est moi: è stata una esperienza lunga e intensa che sicuramente - in forme che magari nemmeno so - ha fatto di me ciò che sono oggi. Dopodiché non amo gli altarini e sono nostalgica in generale, ma non delle mie stesse esperienze. Quindi di Cavoletto rimangono i libri, su un ripiano della libreria, qualche grembiule che ora uso per fare ceramica e sopratutto le ricette - ovviamente non tutte, sarebbero troppe - che ancora cucino per la mia famiglia.
In “Regali Golosi” raccontando di preferire un Natale semplice e modesto scrivi «in una vita precedente facevo il puffo Quattrocchi». È cambiato il tuo rapporto con il Natale?
Completamente. Sono state le figlie a cambiarmi: a parte ovviamente voler creare e mantenere per loro un clima di fine anno leggermente magico, Natale è anche una cosa culturale, che come tale va osservata e tramandata, a prescindere di un qualsiasi discorso religioso. Quindi Natale è diventato quel grande momento dove tutto si ferma, si vive l'essere insieme, si pensa a ringraziare, insomma, it's a big deal, per citare Gru (come vedete sono evoluta anche sul versante dei cartoni animati), e sopratutto si cucinano cose che il resto dell'anno non ho il tempo o la pazienza di fare, come gli agnolotti al sugo di arrosto di Lidia Alciati, la pitta impigliata calabrese, eventualmente il pandoro, le briochine alla cannella svedesi, la casetta in pan di spezie da decorare e via dicendo.
C’è qualcosa che non ti ho chiesto e che invece vorresti dirmi?
Non mi hai chiesto dei miei progetti e desideri per il futuro! Ora che lo studio esiste, il mio impegno sta nel farlo crescere piano e organicamente, non so se desiderare che un giorno si allarghi (anche perché mi piace così com'è ora). Però dei desideri sotto l'albero ce ne sono: prima o poi mi piacerebbe collaborare con uno chef di rilievo (non faccio nomi ma ne avrei qualcuno in mente) e pensare, con due teste, i pezzi per il servizio a tavola. Sono anche in contatto con degli amici del lyceo intesi a creare un polo di artigiani in una fortezza medioevale nella vallata della Mosa, e anche questo sarebbe decisamente una cosa sulla quale mi piacerebbe pensare e lavorare.
Domanda “hot”: piatto piano o ciotola?
Ciotola forever! Fotografano bene, e sopratutto mi piace moltissimo la sensazione della ciotola fra le mani, hanno quel carattere più materno se vogliamo, contengono, sono più cosy, più intime, più invitanti, e per molti versi anche più multiuso dei piatti piani: possono contenere solidi ma anche liquidi, posso andare in giro usandoli, se contegono qualcosa di caldo mi ci posso scaldare le mani ecc. Persino per quanto riguarda la loro realizzazione al tornio, le ciotole sono molto più divertenti da fare, bisogna alzarle, dare loro una curva, una forma, un carattere, mentre fare un piatto piano (in cui in sostanza schiacci argilla sul tornio facendola allargare fino alla dimensione che serve) è più noioso.
3 libri di cucina consigliati da Sigrid:
Permettimi di fare l'iconoclasta e consigliarti tre libri senza foto (e in lingua straniera, allez!)
Julia Child, Louisette Bertholle, Simone Beck, Mastering the Art of French Cooking, Knopf, 2009 (link)
Lo so, è inteso per americani ma quel libro è lo stesso meraviglioso (vi sfido comunque a trovare un libro contemporaneo con tutte le ricette che funzionano così bene!). È utilissimo! Lo adoro!
Ron Silver, Jen Bervin, Bubby’s Homemade Pies, Houghton Mifflin Harcourt, 2007 (link)
Innanzitutto, l'arte della pie è stata seriamente presa sotto gamba in questo paese. Una pie fatta come si deve è un oggetto di commovente bellezza. E questo libro, del titolare di Bubby's, uno dei miei posti preferiti a NYC, ne è la bibbia: spiega perfettamente, per filo e per segno, come ottenere una crosta perfetta, con poi tante varianti per ripieni dolci e salati. Raccomandatissimo!
Christine Ferber, Mes Confitures, Payot, 1997 (link)
Perché è una assoluta maga delle marmellata e perché questa cosa di poter raccogliere i frutti di una data stagione (nel mio caso: le more del Parco del Pollino) e poi conservarli tutto l'anno è uno di quei miracoli piccoli di cui non siamo sufficientemente consapevoli. Non credo di aver mai provato una ricetta di Christine che non fosse precisa, perfetta ed equilibratissima!
Fuori menù:
Antesignana del food styling, molto amata anche da Sigrid, Donna Hay continua ad incantare con ricette furbe e foto meravigliose e lo fa adesso anche in video con lo speciale natalizio “Natale con Donna Hay” disponibile su Disney+
Se anelate ad altri consigli libreschi di Sigrid è ora di recuperare, o rileggere, i post “Books for Cooks” sul blog, e magari stamparli…non si sa mai!
Questa cosa l’ho sicuramente già detta, ma permettetemi di ripeterla. Nelle Note del telefono ho una lista di persone, che in modo assolutamente originale si intitola “Persone”, e comprende chi, da quando ho iniziato a immaginare e progettare Sfoglia, avrei voluto intervistare. Inserire Sigrid Verbert mi sembrava puntare davvero troppo in alto, ma vincere le mie stesse resistenze mi ha fatto scoprire una persona infinitamente gentile e disponibile, animata da una passione profonda e da un puro desiderio di condividere quello che ama. Non riesco proprio a pensare ad un modo migliore di concludere l’anno, e questa maratona natalizia, che lasciarsi ispirare dalle sue parole, da questo racconto di tradizione e reinvenzione e dalla capacità di una grande professionista di non prendersi mai troppo sul serio.
Nel ringraziare di cuore Sigrid mi sento di dire che se non ci fosse stata lei, tante cose non sarebbero successe, nel food e nella mia libreria, e forse oggi non ci sarebbe neanche Sfoglia. Non voglio fare troppo la nostalgica ma so che, nel mio piccolo, rimarrò sempre una #Cavoletters.
Dopo avervi intasato la mail per tutto Dicembre ho pensato di prendermi le ferie a Gennaio, e di usare le prime due settimane del nuovo anno per creare un progetto editoriale per i prossimi mesi. Sfoglia tornerà quindi l’ultimo giovedì di Gennaio, con 3 libri di cucina che saranno probabilmente più libri e meno cucina.
Auguro a tutte e tutti un anno il più sereno possibile, con più libri e più buon cibo possibili, con il livello massimo di risate e abbracci disponibili, con un po’ di calma e silenzio per ascoltarsi e la giusta confusione per perdersi. Buon 2023!
Bellissima intervista! Grazie. Da tempo mi chiedevo che altra strada avesse intrapreso Sigrid. Adoro i nuovi inizi, sono sempre di grande ispirazione!