Sfoglia chiacchiera con Andrea D'Ippolito
co-autore del libro "Slow cooker. Cucinare con lentezza, segreti e ricette"
Questa intervista sarebbe potuta finire in una conversazione tra due signore davanti ad un banco del mercato e lo dico in senso buono, perché quelle sono tra le mie conversazioni preferite, che mi fanno riscuotere sempre un gran successo tre le over 65. “Ma te questo come lo fai?”, “Ma che ci metti? Ma quanto lo fai cuocere?”. Per mia e vostra fortuna, invece, l’intervistato di oggi è un “quasi” ingegnere, focalizzato e rigoroso, che non mi ha permesso divagazioni.
Andrea D’Ippolito trasuda ingegneria. Nel modo di approcciarsi alle sue passioni, che non rimangono mai al livello di interessi, ma diventano inesorabilmente “fisse” e vengono approfondite, sviscerate, studiate da ogni angolazione con metodo scientifico. Nel modo in cui è in grado di contagiare chiunque gli sia intorno e coinvolgerlo in avventure culinarie, esperimenti di gruppo, progetti condivisi.
In queste fisse c’è sempre un metodo, niente è lasciato al caso e infatti «ogni fissa ha una durata media di tre anni» e viene sostituita da una nuova, anche se la cucina resta sempre in prima linea, vissuta con un entusiasmo e una curiosità che mi sono estremamente familiari. Della cucina lo attraggono le tecniche, gli strumenti, le novità, le tradizioni culinarie, anche quelle lontane dalla nostra, e il suo desiderio di scoperta lo porta ad andare in profondità, ad analizzare la storia e la provenienza, di uno strumento, di una ricetta, per trovarne la migliore applicazione al presente.
Nel 2016 Andrea scopre una pentola. Una pentola magica, che non nasconde un re malvagio pronto a dominare il mondo come quella di Taron, ma ha sicuramente il potere di restituirci il dominio sulla nostra cucina. La slow cooker, tutt’ora poco conosciuta in Italia, anche se molto più diffusa rispetto al passato, è una pentola di ceramica che viene riscaldata tramite la resistenza all’interno del suo contenitore di metallo e consente una cottura lenta, a bassa temperatura e basso consumo energetico. Il primo brevetto risale al 1940, ma è nell’America degli anni ’70 che raggiunge il picco della sua fama, diventando uno strumento indispensabile per le donne lavoratrici a cui dà l’opportunità di servire piatti deliziosi, economicamente sostenibili e che, in pratica, si cucinano da soli.
La rivelazione slow cooker porta Andrea a coinvolgere tre amici, “compagni di fisse” (Claudio Cesarano, Daniele Giacomini e Diego Marsicano), dando vita così al primo collettivo italiano dedicato a questa filosofia di cucina, con cui crea nel 2016 il sito ricetteslowcooker.it uno dei pochissimi siti in italiano che raccoglie ricette originali pensate e sviluppate per questa pentola, un punto di riferimento per chi si volesse approcciare a questo strumento o per chi desidera scoprire nuove ricette per utilizzarlo.
Dopo soli due anni dall’apertura del sito, nel Novembre 2018, viene pubblicato il libro “Slow Cooker. Cucinare con lentezza, segreti e ricette” edito da Quinto Quarto. Si tratta di un libro particolare, diverso anche da quelli internazionali sull’argomento, per come si presenta, per il design, e per tutte le informazioni chiare e complete che contiene. Ma potevamo aspettarci qualcosa di diverso da chi ha un fissa?
Slow cooker: perché?
Tutto è nato una sera a cena da amici che avevano preparato il classico taglio “scomodo” di carne, che si presentava però molto morbido, speziato, davvero squisito, anche un po’ esotico rispetto a quello che cucinavo in quel periodo. Mi hanno fatto scoprire l’esistenza di questa pentola, che aveva anche un costo molto basso. Le informazioni che mi sono arrivate, quindi, sono state: la carne viene deliziosa, costa quaranta euro, e da buon testatore di accessori di cucina ho pensato “non mi serve sapere altro” e l’ho subito comprata. Poi ho iniziato a studiare, a cercare in giro, e mi sono accorto che non esisteva niente in Italia e in italiano, ma erano soprattutto siti americani a parlarne. Avendo però capito che uno dei piatti chiave era il pulled pork e che c’erano analogie con il barbecue, ma con la semplicità della pentola elettrica, ho coinvolto questi amici con cui spesso lanciamo nuovi progetti (le fisse, n.d.r.). Siamo un gruppo eterogeneo, anche da un punto di vista culinario, e abbiamo quindi sperimentato ricette diverse, chi più internazionali, chi più legate alla tradizione.
La tua passione per la cucina come nasce?
In realtà è stata la lungimiranza di mia moglie ad alimentarla. Aveva capito che ero in grado di cucinare così ha iniziato a regalarmi libri, a propormi corsi. Forse è anche un po’ tipico degli ingegneri, che spesso come hobby si buttano su cucina, fotografia o musica. Io le ho avute più o meno tutte queste fisse, la fotografia è stata la prima e anche lì partecipavo ad un gruppo locale di Roma e provincia con cui davamo vita a bei progetti, uscite, corsi. Questo pattern di organizzare cose si ripete un po’ per tutte le mie fisse e quindi anche con la cucina. Ora ad esempio c’è il gruppo Telegram di Ottolenghi, e la sua costola locale romana, che potrebbe essere la nuova “big fissa” e anche questa me l’ha inculcata mia moglie, ha scoperto l’esistenza del gruppo e me l’ha subito segnalato.
La prima fissa di cucina qual è stata?
Le polpette. Ho ancora un gruppo whatsapp con degli amici che si chiama “polpette”. Sono un tema ricorrente: uno dei primi corsi di cucina che ho fatto era sulle polpette, è anche stato il primo piatto che ho cucinato con consapevolezza, in modo diverso da come farebbe uno studente universitario. Ho il famoso libro di Barbieri (Bruno Barbieri, Polpette che passione!, Bibliotheca Culinaria, 2014) ed è stato proprio il piatto che tornava nei primi anni di cucina.
Un ricordo di cucina di quando eri piccolo.
Ci sono piatti delle mia infanzia che ricordo nitidamente. Una decina di anni fa ho passato parecchio tempo in ospedale e, dato che mi portavano qualsiasi cosa chiedessi, ho chiesto proprio dei piatti specifici della mia infanzia. I cannelloni che a casa mia, ho origini abruzzesi, si fanno con le “scrippelle” cioè le crêpes, e due dolci che facevano sempre mia madre e mia zia. Un diplomatico con pan di spagna, crema al burro e Alchermes, che mangiavamo ad ogni festa, con tutti i cugini, e anche una torta mille strati, che invece faceva mia zia, con gli Oro Saiwa e il cioccolato, una bomba, cose che se ci pensi ora sembrano un po’ pesanti, ma sono legate alla mia infanzia. Da piccolo, però, non ho mai cucinato, non ho imparato da mia madre o dalle nonne, le ricette più che altro le subivo, le mangiavo e mangiare mi piaceva molto. Ricordo che facevamo la passata di pomodoro, io aiutavo a girare la macchinetta, la parte più divertente. Avevamo anche un po’ di alberi in giardino e facevamo i succhi di frutta, ma io ovviamente non li bevevo perché erano quei succhi in cui si separa il liquido dalla polpa, e che ora vendono da Eataly, ma da giovane non hai la maturità per capire queste cose. Mio padre aveva, e ha tuttora, l’orto e mi chiedeva sempre di andare con lui, ad innaffiare i pomodori, ma io volevo andare a giocare, mentre adesso pagherei per avere il mio orto.
Il tuo lavoro è abbastanza lontano dalla cucina. Se potessi tornare indietro seguiresti la cucina come strada lavorativa?
No, perché lavorare nella cucina è troppo impegnativo. È chiaramente una valutazione che faccio adesso e non so se a vent’anni l’avrei fatta. Però ora sto cercando di far convivere le due cose. Nel mio lavoro ho portato tutte le mie fisse: appena arrivato era la birra e abbiamo fatto la birra in ufficio, poi ho portato la slow cooker e tutti l’hanno comprata, poi è stata la volta della panificazione. Il mio capo abita in campagna, ha un po’ di terreno, e ora stiamo pensando ad uno spin-off agricolo dell’azienda, che purtroppo non si è ancora concretizzato, ma la mia speranza per entrare nel mondo della cucina è un po’ questa. A livello di informatica non faccio più lo sviluppatore come i primi anni e mi piacerebbe unire il mio lavoro con la cucina in questa azienda. Non potrei mai aprire un locale in questo momento, poi magari tra vent’anni, quando i figli saranno autonomi, chissà. In realtà mi piacerebbe non dover lavorare e potermi dedicare solo alla cucina, ho mille esperimenti che vorrei fare, cose da provare, vorrei passare tutto il giorno a testare cotture e comporre piatti, ma credo bisognerebbe stare in pensione per poterlo fare.
Il libro è molto particolare rispetto ai titoli sullo stesso argomento, che hanno spesso immagini un po’ anni’70, mentre il vostro sembra un quaderno di esperimenti da laboratorio ed ha un progetto grafico molto bello. Sono elementi su cui avete riflettuto o sono venuti naturali?
È venuto tutto naturale, già da quando avevamo iniziato a sviluppare il sito volevamo fare le cose per bene, inserendo tutte le informazioni utili per utilizzare la pentola, non solo le ricette. Al di là della cucina ho un po’ l’indole del fare le cose precise e con gli altri autori abbiamo cercato di dare ognuno il proprio contributo in base alle nostre specialità. Claudio, che è molto preparato sulla tecnica ed è anche un amante del barbecue, ci ha tenuto ad inserire il discorso del collagene, l’esperimento sulla temperatura (hanno testato diversi modelli di slow cooker e multi cooker, nelle due impostazioni di temperatura, ad intervalli di dieci minuti, per controllare a che punto questa si stabilizzava. Sì, c’è un grafico, n.d.r.) per dare indicazioni precise e non approssimative. Per la grafica è stato l’editore a coinvolgere Agnese Pagliarini, la grafica, e Rachele Palmieri, che si è occupata dell’editing. Quinto Quarto pubblica libri molto creativi, con belle grafiche, ed è stata una loro idea, ma a noi è subito piaciuta e siamo molto contenti che sia venuto fuori un bell’oggetto, al di là delle ricette. Il libro è stato pubblicato abbastanza presto rispetto alla nascita del sito, e alcune ricette sono forse un po’ acerbe, ma ci sono tutte le informazioni necessarie per capire il funzionamento della pentola, e comunque a noi piace la filosofia del “metti dentro e accendi” per la slow cooker.
Quali sono state le prime fonti per iniziare a studiare la slow cooker?
Principalmente ho cercato online, avevo preso dei libri che mi hanno dato un po’ di ispirazione, ma poi abbiamo deciso quasi subito di creare il sito. Avremmo dovuto in ogni caso scambiarci le ricette, magari in chat, e quindi abbiamo pensato di creare un contenitore di appunti condivisi, per avere anche un nostro promemoria. Diego, poi, è stato lungimirante sul business e abbiamo inserito le affiliazioni Amazon, le pubblicità, che ci hanno permesso di avere un po’ di entrate e andare avanti. Il sito ha funzionato perché mancava qualcosa in italiano, era una nicchia che si è espansa molto velocemente. Una volta capito il meccanismo della pentola, i “trucchi” che abbiamo riportato anche nel libro sul suo funzionamento, abbiamo lavorato soprattutto su ricette nostre per il sito e abbiamo provato, ad esempio, ricette tradizionali italiane che pensavamo potessero funzionare. Avevo trovato la ricetta del “pollo alla cacciatora” del Trapizzino, che viene fatto nella pentola di ghisa, con una cottura lenta di un’ora, e ho pensato si potesse adattare alla slow cooker. E con questo approccio abbiamo creato molte ricette nostre. Del pulled pork sul sito c’è una ricetta forse un po’ basica, di cui vorremmo creare una versione più moderna, soprattutto per il rub, che lì è a tre ingredienti, mentre ora ne faccio uno più avanzato. Semplicemente cerchiamo ricette diverse, facciamo un riassunto degli aspetti che ci sembrano più sensati e proviamo a fare la nostra versione.
Cosa ti fa scattare la molla e decidere di provare assolutamente una ricetta?
Un po’ tutte le cose nuove, tutto quello che non ho ancora cucinato e un po’ la sfida della nuova tecnica da provare. Uso soprattutto Instagram per alimentare la cultura della novità e scoprire ricette nuove da provare, lo uso molto per le ricette di panificazione, pizza in particolare. Guardo anche YouTube (mi piace il canale di Italia Squisita). Sono sempre pronto ad assaggiare tutto, non ci sono cibi che non mangio o non mi piacciono. Intorno ai vent’anni ho viaggiato parecchio ma lì non hai la maturità che ti porta a viaggiare al solo scopo di mangiare, quindi ci sono posti in cui vorrei tornare per scoprire di più. Non sono mai stato in Marocco, che mi ispira molto dal punto di vista culinario, quindi vorrei andare lì, ma banalmente anche a Tor Pignattara dove ci sono dei negozietti, in realtà una serranda aperta, un bancone e le immagini di tutti i piatti che preparano: ecco vorrei andare lì e dire “fammi assaggiare i tuoi piatti migliori”. Ho sempre avuto un interesse filologico per i posti in cui andavo, a Edimburgo ho mangiato l’haggis (piatto tradizionale della cucina scozzese, un insaccato fatto soprattutto con interiora di pecora, n.d.r.), ma anche a Roma ad un certo punto mi sono detto che dovevo assaggiare la trippa, che per tanto tempo non avevo mangiato, un piatto talmente rappresentativo che non si può non conoscere. Tra l’altro ad aprirmi le porte è stata una spettacolare trippa fritta di Mazzo, quindi sono partito bene.
Parliamo un po’ dei tuoi libri di cucina. Sono tanti? Dove li tieni?
Abbiamo tanti libri di cucina, mia moglie li compra per passione, per sfogliarli, quindi devono essere soprattutto belli. Ci ripromettiamo sempre di comprare un nuovo libro solo dopo aver cucinato almeno cinque ricette da uno che abbiamo, ma non ci riusciamo mai. Abbiamo una sala con angolo cottura e la parete della cucina finisce con quella della libreria. I libri più belli sono esposti in alto, in ordine di colore, gli altri sono un po’ mischiati, magari nascosti dietro altri se non valgono molto. Quando viaggiamo, o meglio quando viaggiavamo prima dei figli, ci piaceva riportare un libro di cucina locale in lingua, quindi ho anche dei libri stranieri che non userò mai: un libro sugli estratti in polacco, o uno sulle terrine in francese, e io non parlo francese. Vorremmo sempre organizzarci con un meal prep fatto bene, prendere i libri, scegliere le ricette e fare il menù settimanale, ma non riusciamo a superare lo scoglio delle due settimane. Il libro di Ferran Adrià “Il pranzo in famiglia”(The Family Meal, Phaidon, 2011) ad esempio, dà molte indicazioni su come tenere la dispensa, come comporla. Siamo pieni di riferimenti per quando abbiamo voglia di mangiare in modo più vegetale magari o dei libri in cui sappiamo ci sono ricette specifiche da fare in una certa occasione, classici intramontabili come le polpette al sugo di Nigella, o le ricette di Donna Hay che si prestano molto quando si vuole invitare qualcuno, o i dolci di Sigrid Verbert. Un’altra cosa che mi ripropongo sempre di fare, ma non sono ancora riuscito, è prendere libri che ho da tanto tempo, che magari in passato avevo ignorato o non sapevo neanche bene chi fosse l’autore, e riguardarli ora alla luce della maggiore esperienza, con un’ottica diversa.
Ti piacerebbe tramandare ai tuoi figli questo amore per la cucina?
Per la legge del contrappasso, ovviamente, nostra figlia grande mangia solo pasta in bianco. Ma ci stiamo lavorando, proviamo a cucinare insieme a lei e magari partecipa, fa i muffin al cioccolato, poi non li mangia. Credo sia inevitabile che vedendoti cucinare tutto il giorno, crescendo poi rimanga qualcosa. Ci piace molto creare tradizioni, già da qualche anno facciamo il pranzo del Thanksgiving ed è bello far nascere tradizioni culinarie, ma non abbiamo un menù di famiglia che vogliamo a tutti i costi tramandare.
In questo momento qual è il tuo “aggeggio” di cucina preferito?
Friggitrice ad aria. Un po' perché è la novità più recente, un po' perché con la scusa del caldo estivo è stato un ottimo sostituto del forno, ideale per due persone e per fare una cucina praticamente espressa.
Domanda “hot”: spezzatino o pulled pork?
Spezzatino più che altro perché mi sono stufato del pulled pork.
3 libri di cucina consigliati da Andrea:
Lisa Casali, Autoproduzione in cucina, Gribaudo, 2020 (link)
Uno dei primi libri ad aprirmi la mente su tutte le cose che potevo creare in cucina con le mie mani. E poi di conseguenza ha creato dei bisogni su una serie di accessori che poi col tempo ho comprato, tipo l'essiccatore.
Fern Green, Guida alla fermentazione, Guido Tommasi Editore, 2017 (link)
Non proprio La Bibbia della fermentazione, anche se così dice il sottotitolo, ma sicuramente un manuale semplice e diretto che copre diversi tipi di fermentazione. Io l'ho usato molto nel mio "periodo Kombucha", ma anche per altre ricette come i famosi limoni fermentati.
Samin Nosrat, Salt, Fat, Acid, Heat: Mastering the Elements of Good Cooking, Simon & Schuster, 2017 (link)
È graficamente bellissimo e poi rientra nella categoria di quei libri che ti fanno scoprire curiosità incredibili sul cibo, con infografiche che ogni ingegnere apprezzerebbe.
Fuori menù:
Andrea è il secondo intervistato che cita il meraviglioso libro di Samin Nosrat. A partire proprio da questo libro Netflix ha creato una docuserie in quattro puntate, ognuna dedicata ai quattro elementi della cucina
“DOI - Denominazione di Origine Inventata” è un podcast che vuole smitizzare alcune leggende legate alla cucina italiana; tra storia dell’alimentazione e analisi del marketing è perfetto per chi ama approfondire
Il modo in cui Andrea vive la sua passione per la cucina è qualcosa che comprendo benissimo e, per questo, ci tenevo a raccontare la sua storia, e spero tanto di avergli reso giustizia, perché a tutti sarà capitato di vergognarsi un po’ delle proprie “fisse” o di sminuirle con una scrollata di spalle. Ma non possiamo mai sapere dove ci porterà una bella fissa.
Dicembre sarà un mese impegnativo per Sfoglia che troverete quasi ogni settimana nelle vostre caselle di posta, con novità interessanti e guest star pazzesche. Per raccontarvi meglio cosa sta per succedere ho pensato di fare un post qui su Substack che potrete leggere a breve nella home page. Grazie come sempre per avermi dedicato il vostro tempo, ci vediamo il 1 Dicembre!