Mentre scrivo questa newsletter il pane sta cuocendo in forno. Immaginate: sono seduta al tavolo, davanti al mio quaderno, nella tiepida luce di una mattina invernale, accanto una tazza colma di caffè fumante, nella cucina inondata da quel profumo rustico e accogliente che sprigiona una pagnotta in cottura.
Avete immaginato? Perfetto, adesso vi dico come stanno veramente le cose. Ho appena sciolto un astuccio con il coperchio rovente della cocotte in cui sto cuocendo il pane. Non sapevo dove poggiarlo perché il tavolo della cucina è perennemente invaso da oggetti che con la cucina non hanno nulla a che vedere: un astuccio, appunto, foglietti, un libro, un paio di occhiali, un piccolo dinosauro di plastica, pezzi di Lego, un ciuccio.
L’unica cosa che manca? Probabilmente un sottopentola per il succitato coperchio, ma nella frenesia, e con l’ansia di non finire al reparto gravi ustionati, ho posato questo coperchio proprio sopra l’astuccio che si è ovviamente fuso, lasciando residui filanti di cui ora sto inalando i fumi e che, probabilmente, daranno al mio pane a lievitazione naturale, un innaturale aroma tossico.
L’immaginario del panificatore è la cosa più lontana da me in assoluto, non ho niente della potente dea, connessa con il suo io più profondo, che impasta l’energia della terra. Io ho solo calce biancastra incrostata sulle maniche e tanta ansia da prestazione.
Perché hai deciso di fare il pane allora, direte voi? È un’ottima domanda. E la risposta è che sono stata costretta. Il mio forno del cuore, l’unico che produceva un pane degno di questo nome, ha chiuso (ne parlo qui) e Sara, giovane fornaia illuminata (abbiamo chiacchierato nella prima intervista di Sfoglia) mi ha regalato un pezzetto del suo lievito madre.
Fare il pane «sembra un percorso lungo e tedioso - e in effetti lo è» ironizza Laura Lazzaroni, e non posso che essere d’accordo, ma quello che mi sta facendo capire questa esperienza (oltre al dovermi riportare più pane da surgelare la prossima volta che torno a Roma) è che in alcuni ambiti culinari lo studio è assolutamente imprescindibile.
Ci sono libri di cucina che non hanno quell’allure romantica che ormai diamo un po’ per scontata, che non necessariamente ci fanno sognare, ma che ci danno informazioni. Informazioni fondamentali, le famose “basi”, senza le quali è veramente difficile muoversi. Ho deciso di raccontarvi tre di questi libri oggi e, tranquilli, non saranno tutti e tre di panificazione.
1. Laura Lazzaroni, La Formula del pane. Il metodo per imparare la panificazione domestica, Giunti, 2021
«Faccio pane anche nei giorni in cui non avrei il tempo di farlo, anche quando sono stanca morta, anche quando mi manca qualche ingrediente […], anche quando tutti i segnali puntano alla necessità di rimandare»
La settimana scorsa quando ho pirlato la mia prima boule (sentite come sono tecnica) nella libreria c’erano già, da parecchio, almeno sette titoli sulla panificazione. Non ne avevo avuto ancora bisogno, ma averli vicini, averli letti e maneggiati per pura curiosità (e perché trovo irresistibili i primi piani delle bolle lattiginose del lievito madre) in questi anni, ha reso un po’ meno ostico affrontare la mia impresa. E, soprattutto, mi ha permesso di andare direttamente a consultare quello che reputo il migliore per la mia condizione di principiante assoluta.
«Un metodo insegna il perché e il percome, incluse le variabili e i problemi da gestire: una volta appreso quello, si è liberi. La libertà è sempre il punto di arrivo»
Solo nel 2021 Laura Lazzaroni, giornalista, ex co-direttrice di Food&Wine Italia tra le altre cose, ha pubblicato due libri1: The New Cucina Italiana, in inglese, per Rizzoli e La formula del pane, in italiano, per Giunti. Dobbiamo esserle grata per la scelta della nostra lingua per quest’ultimo titolo, perché di un manuale completo, specifico ma chiaro, di panificazione moderna, in italiano, avevamo assolutamente bisogno.
«Ho fatto il ruminante, fuori, sul campo, al servizio della vostra formazione: con i miei quattro stomaci ho “processato” molto materiale per potervi offrire solo ciò che può nutrire concretamente la vostra sperimentazione»
La formula del pane, però, è molto più di questo. Prima di tutto ha un progetto grafico meraviglioso, curato da Studio Forward, che riesce a fondere in modo armonico il testo, l’uso del colore (oro e rosso per dare la sensazione del calore) e la componente delle infografiche, con quella fotografica, realizzata da Laura La Monaca. Foto bellissime e poetiche convivono con gli aspetti più tecnici del libro, con la schematicità e la facilità di accesso alle tante informazioni.
Vi consiglio di prenderlo, posizionarlo sul comodino, e leggerne qualche pagina ogni sera, prima ancora di avere un “figlio batterico” che nutrirete con molta più cura dei vostri eredi naturali.
Ogni parola di Lazzaroni emana una passione profonda. Il racconto di come è arrivata a sviluppare i suoi “metodi master” per la panificazione casalinga, della scoperta delle farine, delle piccole abitudini e riflessioni che, evidenziate in rosso, ci restituiscono il suo dialogo interiore, è prezioso tanto quanto la formula di calcolo delle pesate.
L’autrice ha riorganizzato il proprio sapere in tre metodi generali (pani in stile sourdough, impasti ad alta idratazione, impasti arricchiti) ognuno dei quali consente, con piccole variazioni di tecniche o ingredienti, di realizzare prodotti finiti diversi, avendo così a disposizione un ampio spettro di possibilità, senza complicarsi inutilmente la vita.
È un progetto curato in ogni dettaglio, al punto che già nella prima ristampa, uscita lo scorso Luglio, sono state inserite le istruzioni precise per ottenere un certo quantitativo di levain (il lievito madre inoculato che si usa dentro il pane) a fronte della sola formula generale presente nella prima edizione.
«[Il pane] Mi piace che abbia un “naso” (un profumo) deciso, che la mollica accarezzi le papille gustative come una serie di onde che lambiscono la spiaggia, lasciando un po’ di schiuma ogni volta che si ritirano»
Nonostante sia scritto da una sola persona, c’è un forte senso di comunità in questo libro, ci sono gli altri panificatori, autori, produttori, che hanno influenzato e stimolato il lavoro e la sperimentazione di Laura Lazzaroni, ci sono le sue “donne del pane”, e chi le ha permesso di scoprire e approfondire la complessità di questo universo. E ci siamo noi, italiani, la nostra dignità gastronomica, che, spesso, siamo i primi a sottovalutare rispetto a proposte apparentemente più esotiche e intriganti.
«Ho cominciato a interrogarmi sulla nostra identità di nazione panificante, sul senso e la necessità di recuperare, con strumenti e materie prime di oggi, i pani che per anni si erano trovati nei nostri forni, in parallelo a ciò che certi cuochi già stavano facendo al ristorante, con la cucina della nostra tradizione»
Nel “mondo pane” entrano prepotentemente elementi scientifici, la chimica, la matematica di percentuali e proporzioni, ed è affascinante come questi abbiano bisogno di convivere con istinto e sensazioni, per arrivare ad un buon risultato.
Allo stesso modo Laura Lazzaroni, che ama le parole e sa usarle con maestria, ha creato un manuale tecnico e poetico insieme, piacevole da leggere, ma che ha anche permesso a me, quella che ha sciolto l’astuccio, di produrre qualcosa di edibile, addirittura buono, partendo solamene da acqua e farina.
2. Jane Grigson, Jane Grigson’s Vegetable Book, Michael Joseph, 1978
«Few things taste better than a dish of new young vegetables, lovingly cooked. No need for meat or apologies»
Lasciatemi fare una previsione, se dovessi sbagliarmi giuro offro il caffè a tutti (tanto siamo pochi). Il 2023 sarà l’anno della tradizione in ambito food, della tradizione nel senso letterale del termine, della riscoperta di piatti classici e cibi semplici, ogni paese con le proprie peculiarità, un rinnovato orgoglio gastronomico per la cucina che parte dal basso.
I piatti delle famose nonne, probabilmente stufe di essere sminuite e ricondotte a retorica piaciona, che rimettono la conoscenza del nostro passato al centro del discorso.
Jane Grigson è uno di questi fari della tradizione: è per il Regno Unito quello che Ada Boni è per noi, ma senza il tono passivo-aggressivo. Anna Del Conte, Lindsey Bareham, Diana Henry, la divinità bifronte Nigel e Nigella: tutti loro, come molti altri, hanno citato più volte i libri di Grigson come la base del loro sapere, fondamentali per la loro crescita di cuochi e autori food. «In many ways, it was both Mum and Jane that fed us» racconta Rachel Roddy, ricordando tutte le volte in cui ha preparato la ratatouille presa da questo libro.
Tra i suoi tanti titoli ho scelto questo perché lo ritengo fortemente attuale. Jane Grigson’s Vegetable Book, pubblicato nel 1978, è un trattato sulle verdure. Sono affrontate tutte (controllate, scoprirete che no, l’avocado, il cavolo cinese, l’okra non li abbiamo scoperti noi) di ognuna è raccontata la storia, le origini e “come sceglierla e prepararla” oltre a numerose ricette.
Si tratta, ovviamente, di ricette un po’ datate, spesso arricchite di panna e besciamella non necessarie, ma come ha scritto Nigel Slater «[…] if you ignore the béchamel sauce that runs through her recipes in much the same way olive oil gushes through mine, her ideas are as suited to today’s eating as they ever were».
Proprio Jane Grigson ha preceduto Slater come firma della rubrica culinaria sul supplemento dell’Observer, che ha curato dal 1968 fino alla sua morte nel 1990, e oltre alla validità delle sue ricette, concrete e ben spiegate, non si può ignorare il suo stile di food writer.
«The artichoke above all is the vegetable expression of civilized living, of the long view, of increasing delight by anticipation and crescendo»
La sua scrittura mescola storia, letteratura, poesia, scienze naturali, senza mai essere pesante. Le tante informazioni, golosissime per chi cerchi maggiore consapevolezza della cucina vegetale, si fondono con le storie personali, i racconti di viaggio, le tradizioni gastronomiche di altri paesi, soprattutto Italia e Francia.
L’impronta è concreta, l’obiettivo è una guida al corretto trattamento delle verdure, ma l’elemento divulgativo si accompagna ad un modo letterario di raccontare il cibo.
«It’s the smell of such food, cooked in vast shallow tins, that pulls one towards the rosticcerie, the rich heady fragrance of tomatoes and olive oil and Parmesan cheese»
È un piacere leggere Jane Grigson, a prescindere dall’innegabile utilità pratica del suo libro, è un piacere riflettere sulla varietà e complessità del mondo vegetale, sulle infinite opzioni che offre e spostarsi tra Europa, Medio Oriente, America, in cerca dei piatti tradizionali che sfruttano nel miglior modo possibile una certa verdura.
3. Samin Nosrat, Salt Fat Acid Heat, Simon & Schuster, 2017
«I have spent my entire life in pursuit of flavor»
Samin Nosrat è un’allieva del corso di giornalismo di Michael Pollan, una studentessa di Letteratura Inglese di Berkeley, una giovane con aspirazioni letterarie, cresciuta nelle tradizioni culinarie persiane della sua famiglia iraniana, un outsider rispetto alla società americana in cui vive. «I grew up in a house filled with the language, customs, and food of another place and time».
Un fidanzato dell’epoca la introduce alla scena culinaria di San Francisco e, insieme, trasformano una scatola di scarpe piena di risparmi in una cena al famosissimo ristorante Chez Panisse di Alice Waters. Una cena che le cambierà la vita, che la convincerà a scrivere una lettera appassionata alla stessa Waters, ottenendo un posto per un apprendistato nella sua cucina.
«I asked questions of everyone, everyday. I read, cooked, tasted, and also wrote about food, all in effort to deepen my understanding»
Anni dopo, quando Michael Pollan inizierà le sue ricerche e lo studio per il suo best seller Cooked, sceglierà proprio la sua ex allieva Samin come insegnante di cucina.
Questo libro, che ha venduto oltre un milione di copie e ha vinto tutti i riconoscimenti più prestigiosi (in Italia lo trovate tradotto da Guido Tommasi Editore) è concettualmente, graficamente e stilisticamente un capolavoro. Non a caso ben due “amici di Sfoglia” (che sono un po’ come gli Amici della domenica) lo hanno consigliato nelle loro interviste e tutti i meriti che gli vengono tributati sono più che giusti.
«Improvising begins with notes, and now you have two with which to compose a Salt-Fat melody. Master a third note, and you’ll experience the transcendent harmony of Salt, Fat, and Acid»
Samin Nosrat è fermamente convinta che, imparate le basi, “chiunque può cucinare qualunque cibo e renderlo delizioso” e, non a caso, il libro si apre con una citazione proprio di Jane Grigson, sostenitrice della medesima filosofia, concreta e mai snob.
L’autrice ha riunito il frutto di tanti anni di studio e osservazione attiva in cucina e cioè l’assunto che tutto si possa ricondurre a quattro elementi fondamentali: sale, grassi, acidità e calore. Imparare a gestire questi elementi rende possibile cucinare ottimo cibo.
È un modo di porre la questione sicuramente unico ed un compito non facile, vista la necessità di affrontare la spiegazione di processi chimici e natura degli ingredienti, ma lo stile di Nosrat, e le splendide illustrazioni di Wendy MacNaughton, rendono tutto più semplice. Il risultato non è un mattone indigeribile, ma un libro fresco, allegro, arioso.
«I loved nothing more than watching her unpack while the room flooded with exotic aromas: saffron, cardamom, and rosewater mingled with the humid, slightly moldy Caspian air that had tucked itself into the fabric lining of her bags over the years»
Le scoperte dell’autrice si raccolgono accanto ai suoi ricordi, alle sue esperienze nei ristoranti in cui ha lavorato e nei molti luoghi che ha visitato in cerca del sapore, dell’aroma, del gusto perfetto. Non lasciatevi spaventare dalle informazioni tecniche, che sono comunque comprensibili, il messaggio del libro è soprattutto quello di unire studio ad esperienza personale, di immergersi nei viaggi, nei libri, nelle persone, negli esperimenti.
«Be present. Stir, taste, adjust» è il motto di Samin Nosrat: essere presenti a ciò che si fa, sfruttare i propri sensi, sporcarsi le mani, osservare e scrivere, perché cucinare non è un atto fine a se stesso e la scoperta del gusto è un percorso, uno studio fatto di mille tasselli.
«Think about the ingredients that define the cuisine that inspires you, and start to build a meal around them. Consult cookbooks, memories of your own childhood or travel, or call your grandmother or auntie for counsel»
Memorie d’infanzia, tradizioni familiari, abilità culinarie delle nonne. 2023? Che dite? Ne riparleremo.
Fuori menù:
ritornando un attimo all’astuccio (non mi va giù, che vi devo dire) il mio umore si è un po' risollevato leggendo
sui suoi fallimenti in cucinauna newsletter che amo, ad alto contenuto spiegoni: ingredient di
. Ogni mese un focus su un particolare ingrediente e relative ricette (e non solo).
E ora che abbiamo raccolto tutte queste informazioni, direi che possiamo iniziare a ragionare su: quale take away ordinare sabato sera per la finale di Sanremo!
A parte gli scherzi, Sfoglia continua a crescere ed è tutto merito vostro che la leggete, la condividete con persone interessate e mi fate sapere che apprezzate quello che scrivo. Grazie.
A Febbraio partirà la nuova rubrica Sfoglia - Book Tasting: una serie di dirette Instagram in cui andrò a curiosare nelle librerie di cucina degli altri. Ci vediamo giovedì 16 alle ore 14:30 con la prima ospite
@julskitchen. Non vedo l’ora!Laura Lazzaroni è autrice anche di Altri grani altri pani, pubblicato nel 2017 per Guido Tommasi, Gusto! Gli Italiani a tavola. 1970-2050, del 2022 per Marsilio Arte (legato alla mostra omonima, curata con Massimo Montanari, del museo M9 di Mestre), della storia per bambini Uvaspina alla scoperta della vigna, Mondadori Electa, 2018 e ha curato il volume Dieci lezioni di cucina di Niko Romito, pubblicato con Giunti nel 2017
Fantastica, grazie, non conoscevo la Grigson ma ora recupero!!
Sto leggendo in questi giorni il terzo libro (scoperto in una newsletter di Giulia Scarpaleggia) nella traduzione italiana di Guido Tomasi Editore, e mi sta piacendo molto.
Non conoscevo il primo e l’ho ordinato adesso perché i libri ben scritti sulla panificazione non sono mai abbastanza. Grazie