Alcuni giorni fa riflettevo su come sia diventato quasi un tabù ammettere di aver imparato a cucinare dalla nonna. Ricordare con nostalgia gli insegnamenti di questa figura così italiana e ingombrante, è ormai qualcosa di cui non andare troppo fieri, che ci farà precipitare nel baratro del cliché, dello stereotipo polveroso, provocando in chi ci ascolta solo sbadigli incontrollabili.
Eliminiamole ‘ste nonne. I loro insegnamenti non si riducono forse ad un uso sconsiderato di grassi animali, a porzioni troppo abbondanti e sgraziate, alla sovrabbondanza di cibo come unica via per la felicità?
In parte, forse, è vero, in parte ci saranno sicuramente molte eccezioni a questa retorica consolidata, eppure credo che la “cucina delle nonne” sia ancora la cucina di quel vivere sostenibile che tanto inseguiamo: la cucina degli scarti, della spesa consapevole, della conoscenza dei prodotti, del saper scegliere e utilizzare le materie prime migliori, più adatte alla stagione, la cucina degli avanzi, con la loro vita autonoma e indefinita nel tempo.
Le mie nonne cucinavano entrambe, quella paterna addirittura nella trattoria di famiglia, e la ricordo molto anziana, un po’ curva, e sempre con il grembiule addosso. Mia nonna materna, che è stata la nonna che ho vissuto di più, che ha cresciuto i suoi nipoti, era una donna estremamente pratica ed energica: faceva la spesa, andava al mercato per frutta e verdura, cucinava piatti semplici e sostanziosi, che durassero tutta la settimana, e ci voleva tutti intorno al tavolo la domenica a pranzo. Non rispondeva, però, all’ideale romantico che associamo ad una nonna in cucina. Mi lasciava “pulire” la ciotola dell’impasto del ciambellone, ma non perdeva troppo tempo a spiegarmi come prepararlo, lo metteva in forno e tendenzialmente passava il tempo della cottura ad osservarlo e insultarlo se non lievitava come avrebbe dovuto.
Mio padre era un grandissimo cuoco, capace di cucinare tutto, in qualunque momento, senza mai dover guardare un libro o una ricetta, ma era quasi sempre in viaggio per lavoro e sono pochi i momenti che ricordo passati insieme a cucinare. Chiedergli informazioni sui procedimenti era scontrarsi contro un muro di “ci metti un po’ di questo”, “di quest’altro mettine quanto te ne chiede”: e io sto ancora aspettando che una fontana di farina mi rivolga la parola per dirmi con quante uova vorrebbe impastarsi.
Quindi, a onor del vero, mia nonna e mio padre mi hanno materialmente insegnato molto poco sulle tecniche di cucina, ma quello che hanno fatto è stato piantare un seme.
Ho sempre visto l’entità del loro affetto attraverso i piatti che mi cucinavano, negli occhi complici di mia nonna quando mi allungava un pezzo di rosetta per fare la scarpetta, o mi metteva da parte le patate al forno più sbruciacchiate, nella fierezza con cui mio padre mi preparava un “vero hamburger americano” piuttosto che sapermi da McDonald’s, nell’insistenza con cui cercavano di convincermi che avrei dovuto sempre assaggiare tutto, ogni piatto e ingrediente, nell’orgoglio con cui portavano in tavola cervello, fegato, pajata, servendole come le grandi prelibatezze che erano, e regalandomi un vero allenamento del palato.
L’interesse, l’amore, l’ossessione che oggi provo per il cibo e la cucina sono senza dubbio scaturiti da quel seme, ma è spettato a me prendermene cura: innaffiarlo e farlo crescere, dargli luce e spazio. L’ho fatto anche attraverso i libri, che trovavo in casa, che mi regalavano e poi, quando ho capito che potevano essere una cosa solo mia, che sceglievo, ricercavo e collezionavo.
Oggi ho scelto tre libri che raccontano questa storia, la mia evoluzione, le mie scoperte rivoluzionarie: 3 libri di cucina che hanno scatenato la mia passione.
1. Gaudenzio Capelli (a cura di), Io in cucina, Le nuove ricette di Nonna Papera, Mondadori, 1985
«Se la vita ti va storta, fatti subito una torta»
Attenzione, questo non è il famosissimo Manuale di Nonna Papera degli anni ‘70, è un ricettario diverso, dedicato solo ai dolci, appartenente alla collana “Guide Disney”. La protagonista è sempre Nonna Papera, che inonda il giardino con i profumi delle prelibatezze poggiate a freddare sul davanzale della finestra, ma le ricette sono tutte nuove rispetto al Manuale e un po’ meno fantasiose.
È il primo libro di cucina per bambini che ho maneggiato, un regalo di mia nonna, così colorato e bello, con le pagine di carta spessa e i disegni dei personaggi che adoravo. Ricordo che per molto tempo mi sono limitata a sfogliarlo, per poi rimetterlo nella libreria accanto alla collezione di Topolino, osservando i riquadri con le indicazioni della difficoltà della ricette e chiedendomi se sarei mai riuscita a fare una di quelle da tre tortine, “meno facile”.
Non ci sono foto, ma solo illustrazioni del piatto finito, che in alcuni casi richiedono un vero sforzo di fantasia per capire cosa si dovrà cucinare. Avrei sempre voluto provare il “torroncino di mandorle di Gambadilegno” ma il disegno del dolce finito mi sembrava un po’ anomalo e leggere nel procedimento “attenzione ai denti! Non masticatelo subito, lasciate che si ammorbidisca prima in bocca” è stato abbastanza disincentivante.
Le ricette sono organizzate per stagioni, più un capitolo dedicato alle occasioni speciali, e la scelta degli ingredienti è notevole per il periodo storico: tantissima frutta, utilizzata anche in frullati, granite e gelati per l’estate, mele, castagne e frutta secca per le stagioni fredde, indicazioni su come fare marmellate e conserve, addirittura proposte particolari come i biscotti alla salvia. Tralasciando l’uso sconsiderato del rum in ricette per bambini (“gli anni ‘80 erano selvaggi”, per citare Bandit) è un libro che oggi farebbe ancora un’ottima figura.
Non lo uso spesso, ma rileggerlo mi ha ricordato soprattutto la curiosità che la me bambina provava verso il contenuto di questo libro. Ricette per bambini, chi se lo immaginava!
Le ricette sono presentate in modo classico, con molto testo, e questo implica il necessario coinvolgimento di un adulto per cucinare, ma la vera rivoluzione stava nel poter andare da mia nonna, o da mio padre, e chiedere di provare insieme una ricetta che era stata pensata e scritta per una bambina come me. E non solo come me, perché come destinatarie del libro non sono indicate solo le bambine, come mi sarei aspettata, ma ci si rivolge a tutti i giovani lettori «senza pretendere di farvi diventare dei veri maestri pasticcieri, ma solo degli ottimi allievi e soprattutto dei raffinati buongustai!».
«Un energico trillo di campanello mi annuncia l’arrivo di Paperone. Il fratellone verrà per sfogarsi a causa di qualche bilancio meno attivo, e io lo dovrò addolcire con qualche specialità»
Un’ultima curiosità. Nel libro Nonna Papera è indicata come sorella di Paperone e questa, ormai lo sappiamo con certezza, è una inaccuratezza storica: Nonna Papera e Paperone non sono parenti tra loro, pur essendo entrambi imparentati con Paperino (l’albero genealogico degli abitanti di Paperopoli lo facciamo un’altra volta).
2. Helen Drew, Il mio primo libro dei dolci, Fabbri Editori, 1991
«E per una festa di compleanno indimenticabile, ecco una sorpresa: una torta al cioccolato che è una delizia!»
Il 23 Luglio 1992 compivo 10 anni e, come per tutti quelli che festeggiano il compleanno in estate, la mia festa sarebbe stata un pranzo e una torta con “gli amichetti del mare”: in pratica una giornata come un’altra, visto che passavamo già tutto il giorno insieme, e spesso pranzavamo anche insieme, alternandoci tra le case di ognuno, che erano comunque attaccate.
Non so per quale combinazione di fattori nella nostra piccola fetta di litorale c’era una concentrazione mai vista di ottimi cuochi e appassionati di cucina, e il cibo, e la convivialità, erano presi davvero sul serio. Il cibo era una parte fondamentale delle nostre vacanze estive: i viaggi di noi bambini, su e giù dalla spiaggia, per prendere l’acqua per le vongole, la maschera e il boccaglio incrostati di salsedine con cui andare a largo a pescare i cannolicchi, il fumo del barbecue in pietra che scaldava milioni di bruschette, un forno per la pizza costruito da zero in giardino. Gli adulti sembravano sempre pronti a sfamarci, noi beatamente li lasciavamo fare.
Non ricordo cosa mangiammo in quel pranzo di compleanno, ma il regalo dei miei amici non posso dimenticarlo, perché, se non l’avessi ricevuto, oggi probabilmente non stareste leggendo questa newsletter. Il mio primo libro dei dolci è un libro enorme, la traduzione di un manuale di cucina per bambini dell’editore inglese DK, la cui peculiarità è avere foto a grandezza naturale degli ingredienti.
È pensato per lasciar cucinare i bambini in autonomia, potendosi accertare che le dimensioni degli ingredienti siano corrette rispetto a quelle fotografate e seguendo le immagini passo-passo del procedimento. Imputo a questo libro anche l’origine del mio interesse per il Regno Unito, perché le ricette sono tipicamente inglesi: scones, brownies, pavlova, cupcake, i cui nomi sono stati ovviamente tradotti perché a nessuno sarebbe venuto in mente di lasciare gli originali.
Adoravo questo libro. Quello che mi esaltava era che i dolci non sembravano solo appetibili, ma erano anche belli, e giocosi. Le cupcake glassate come elefante, foca, orsetto lavatore e soldatino, gli choux a forma di ragno o serpente e la meravigliosa, incredibile, torta dinosauro. Una torta al cioccolato, LA torta al cioccolato, che ho preparato la prima volta 32 anni fa, con mio padre nella cucina della casa al mare, e che continuo a preparare oggi per i miei figli. Una torta rotonda che, seguendo le istruzioni del libro, si può tagliare, ricostruire e glassare dandogli la forma di un verdissimo brontosauro, con le scaglie di marzapane e i denti di cioccolato bianco.
Quando ho conosciuto la mia amica Kate, australiana, da poco trasferitasi in Italia dall’Inghilterra, abbiamo subito scoperto di avere in comune l’amore per i libri di cucina e parlando di quelli che continuavamo a portare con noi, trasloco dopo trasloco, accennai ad un libro per bambini, da cui non potevo separarmi e che continuavo ad usare. Quella sera Kate mi mandò una foto di questo stesso, identico, libro, nell’edizione inglese, che anche lei continua a portare con sé e usa ancora oggi per preparare dolci con i suoi bambini.
Sinceramente mi aspetto che qualcuno risponderà a questa newsletter dicendomi di aver avuto, o visto, questo libro, di quanto gli piaceva, di quanto erano belle le ricette, perché credo sia impossibile sfogliarlo e non provare allegria, e un desiderio incontenibile di mettersi un grembiule e iniziare a cucinare.
Dico sempre che è questo il libro da cui tutto è cominciato: la ricerca di titoli simili, che potessi tenere nella mia stanza, insieme ai miei libri e non vicino a quei ricettari cupi, con le foto anni ’70, sulle terrine, che mio padre comprava per non consultare mai. Libri in cui le foto fossero veramente importanti, luminose, che mostrassero la texture dei cibi, quasi si potessero sentire sotto le dita: la granella di cioccolato, le ciliegie candite così lucide e invitanti.
Questo libro è stato per me come entrare nella casetta di marzapane di Hansel & Gretel, mi ha aperto gli occhi su qualcosa di talmente bello ed entusiasmante che non ho potuto più abbandonare.
3. Donna Hay, Classici Moderni, Volume 2, Guido Tommasi Editore, 2008
«Cos’è che rende qualcosa un classico? Il modo in cui supera la prova del tempo, restando sempre di moda»
Facciamo un salto di circa 10 anni, ai primi anni 2000. A Roma, in via del Corso 472, dove adesso c’è Gap, c’era Messaggerie Musicali, diventato poi libreria Mondadori, che al piano terra, in una specie di cubicolo, vendeva riviste internazionali, su diversi argomenti, provenienti da tanti paesi. Andarci era come andare ad un appuntamento romantico (diciamo pure meglio): camminavo su Via del Corso tutta emozionata, all’idea dei nuovi numeri che mi stavano aspettando. NME, Mojo, Uncut, Lula, The Gentlewoman, Love, Interview, quelle di moda e musica erano le riviste che bramavo. Erano gli anni dell’indie rock, del rinnovato amore per il Regno Unito, e in mezzo a queste riviste un giorno mi cadde l’occhio sul settore cucina, che avevo ingiustamente trascurato.
E lì vidi per la prima volta Donna Hay Magazine. Dimentichiamoci per un attimo del food writing perché Donna Hay è la persona che ha creato il food styling, che ha inventato uno stile fotografico, e un’impaginazione di riviste e libri, assolutamente unici ed originali, che sono tutt’ora soltanto suoi.
Immaginate un’italiana, abbonata a La Cucina Italiana, con la sua bella striscia nera in copertina, con le foto dentro il piatto, senza contesto, tutte un po’ troppo arancioni o rosse o verdi. Immaginate cosa poteva voler dire, in quel momento, aprire la rivista di Donna Hay: era come se qualcuno avesse acceso la luce.
Hay ha pubblicato 28 libri di cucina, che sono stati tradotti in 10 lingue e hanno venduto circa 8 milioni di copie in tutto il mondo. La rivista, fondata nel 2001, e chiusa dopo 17 anni, al centesimo numero, aveva circa 600 mila lettori solo in Australia, abbonati sparsi in 82 diverse nazioni e, nella versione digitale, era il magazine più venduto su App Store.
«Ma a parte l’aspetto moderno, molte delle idee arrivano dal vecchio e pratico libro di cucina che mia nonna mi ha regalato quando avevo 10 anni»
Lo stile di Donna Hay è semplicissimo: visivamente siamo in un mondo etereo, dominato dal bianco, dall’argento e dal turchese. Nelle foto, molto spesso affidate a Con Poulos, che ha scattato la copertina del primo numero del magazine e quasi tutti i libri, il cibo non è mai da solo, ma sempre accompagnato: da una teglia, uno straccio, un tagliere di legno, dalla ciotola sporca di glassa e dai gusci delle uova usate per preparare il dolce. Tutto è perfetto, ma è anche fattibile. Perché accanto a queste foto ci sono ricette semplici, che garantiscono un ottimo risultato.
Classici Moderni sono due volumi che reinterpretano ricette classiche, nel primo salate, nel secondo dolci, rendendo più snelle e accessibili quelle preparazioni che costituiscono i piatti base del repertorio di ogni cuoco. Donna Hay ha creato un’estetica, e un metodo, per il cuoco di casa, che aspira alla calma, e alla bellezza, ma non ha tutto il tempo del mondo per le preparazioni.
«[…] tra i commensali calerà un meraviglioso silenzio mentre a far conversazione saranno i cucchiai, intenti a non farsi sfuggire nemmeno una briciola»
Prescindendo dal fatto che qualunque libro di Donna Hay è una sicurezza e un piacere, da sfogliare come da cucinare, sono particolarmente affezionata a questo sui dolci, perché da ragazza ne ho sperimentato moltissime ricette, perché i dolci sono la mia vera ossessione e perché raccoglie preparazioni classiche di cui è impossibile stancarsi e ricette che non deludono mai (la foto di copertina di questo numero di Sfoglia è la torta all’arancia e semi di papavero che ho preparato qualche giorno fa…ed è già finita).
Visto che qui siamo tra simili mi piacerebbe sapere quali sono i libri che hanno scatenato la vostra passione per la cucina, quelli a cui siete più legati, da cui non vi separereste mai. Sono molto curiosa!
Eccomi! Nella libreria di me bambina c’era Il mio primo libro dei dolci. Da quel libro viene la torta per il terzo compleanno di mia sorella: a forma di orsetto e decorato con smarties di mille colori. Lo stesso compleanno in cui mia zia la bruciò per sbaglio poggiandole su una coscia l’accendino ardente usato poco prima per le candeline. Sipario.
Io ho avuto solo due libri da bambino e da adolescente: il manuale di nonna papera e l’arte della cucina moderna di Henri-Paul Pellaprat!